Pallavolo

Volley e razzismo: una battaglia oltre la rete

Volley e razzismo sono due nomi che non vengono associati molto spesso; per fortuna si potrebbe dire. Nel mondo dello sport, dunque anche nella pallavolo, il razzismo però esiste, è solo meno visibile, nascosto o semplicemente preso meno in considerazione rispetto ad altri episodi.

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Paola Egonu e Miriam Sylla – Photo Credit: Imoco Volley Official Facebook Account

Volley, il razzismo non è uno sport

In ambito sportivo, e non solo, l’argomento razzismo diventa sempre molto delicato da affrontare; l’associazione logica che viene in mente è il calcio di cui spesso si sente, facendo dimenticare che determinate cose purtroppo accadono in tutti i campi. Come succede nel mondo del volley per esempio; episodi di insulti sessisti, razzisti e discriminatori rivolti a giocatori, giocatrici, arbitri. Situazioni che vanno oltre lo sport, oltre la pallavolo, al di là di un gioco con una rete in mezzo, andando a colpire direttamente una persona.

Qualche anno fa a Zaytsev dissero che lui “non rappresentava l’Italia”; nel campionato di A3 di pallavolo maschile, l’opposto cubano Gonzalez fu apostrofato dal pubblico come “mangiabanane”. In diversi campionati tanti arbitri furono e sono insultati a causa della loro provenienza al di fuori dello stivale italiano. Sempre qualche anno fa fece scalpore la storia di Nneka Arinze, la capitana italo-nigeriana del Mesagne, insultata a causa del colore della sua pelle; la denuncia di Nneka fu incredibile, la battaglia che portò avanti per lei e per le sue compagne, anch’esse pesantemente apostrofate, arrivò ovunque.

La FIPAV condannò gli episodi, scegliendo come testimonial dei Mondiali proprio la Arinze. Un messaggio chiaro e forte quello della Federazione, a dire che determinate situazioni non sono tollerabili, né in campo né fuori. La risposta della FIPAV ha dato la forza di denunciare tutti quelli episodi tenuti nascosti, per paura, per orgoglio, per mancanza di fiducia. Tante volte infatti gli arbitri, l’istituzione in campo, sembrava non avessero sentito nulla. Un’umiliazione doppia forse, una mancanza di aiuto che può dare sconforto e sfiducia.

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Ivan Zaytsev – Photo Credit: Lorenzini, FIVB Official Twitter Account

Campionesse di volley contro il razzismo

Tra le recenti manifestazioni di razzismo e discriminazione troviamo sicuramente le giocatrici dell’Imoco Conegliano, Egonu e Sylla; entrambe nere, entrambe definite inadatte a portare la maglia azzurra, perché “nero” non è “italiano”. Due atlete forti, non solo in campo, simbolo di una nazionale, ma anche speranza per tutte quelle persone che ogni girono vengono definite diverse. Paola è una donna forte, umile, determinata, che si è sempre fatta scivolare addosso ogni tipo di insulto; la risposta poi la dava sul campo.

Anche Miriam come Paola ha sempre dimostrato un carattere forte, determinato, trasparente; una donna che ha avuto il coraggio di raccontare la sua vita difficile, la sua infanzia, il percorso che l’ha resa la persona che è oggi. Questo un estratto del racconto di Miriam Sylla:

“Rispondevo agli insulti, lo facevo sempre perché mi sentivo forte, ero forte, e quelli erano insulti infami.
Poi mi fermavo e non reagivo più, perché in casa mi ripetevano sempre che non si possono alzare le mani; la sola cosa che mi animava più delle cattiverie era il desiderio di non deludere i miei“.

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Miriam Sylla – Photo Credit: Federvolley Official Twitter Account

Essere discriminati oggi

L’insulto oggi ha un sapore diverso, un modo diverso; tante volte infatti esso parte dai social network, una rete potente che in tempo zero fa rimbalzare la cattiveria in ogni parte del mondo. Un’arma tanto potente quanto pericolosa. Spesso e volentieri queste cose partono anche dai più piccoli, messi troppo presto in una realtà da grandi. L’insulto verso un bambino e quello da un bambino sono cose terribili; per quanto possano crescere forti, è come se parte dell’infanzia venisse “rubata”.

Una felicità che viene a mancare quando dovrebbe essere un semplice diritto che tutti meritano di vivere; non esistono differenze che possano negare la felicità a qualcuno. Oggi un bambino impara a fare differenze tra le persone; amarne alcune, disprezzare le altre, bianco o nero, in senso letterale e non, senza altre soluzioni. Lo stesso bambino che un domani da adulto rischierà di essere una di quelle persone che aspetta solo il minimo errore per vederne cadere altre.

Lo sport sicuramente può aiutare perché le forze si concentrano su un obiettivo talmente grande da rendere tutto il resto secondario; è una dimostrazione personale prima di tutto, poi fatta al mondo per sottolineare quanto le parole valgano meno di zero. Lo sport può aiutare ma deve essere aiutato. Una manifestazione di gioia, di competizione, di unione non può e non deve essere macchiata di insulti, di razzismo o di discriminazione; deve essere la chiave per eliminare quelle che vengono etichettate come differenze. Bianco, nero, giallo o rosso che sia, tutti hanno due mani, tutti hanno due piedi, ognuno può dunque fare un muro a ciò che oltre la rete non deve assolutamente passare.

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