
Negli ultimi tempi il panorama musicale si è popolato di trapper, autotune e ballate pop composte secondo i parametri imposti dalle case discografiche devote al Dio Denaro; eppure, in questa realtà così demoralizzante c’è un bagliore di luce: altro non è che Marco Castelluzzo, per gli amici, “Wepro“. Sì ma, chi è Wepro? Ve lo sveliamo nell’intervista che gli abbiamo fatto.
Marco Castelluzzo, in arte, Wepro: ve lo facciamo conoscere nella nostra intervista

Marco Castelluzzo è nato nel 1993 in Puglia ma, da qualche anno, è stato adottato da Mamma Roma. Nonostante la giovane età, vanta un ricchissimo curriculum vitae: ha lavorato sia come autore che come cantante per Mediaset, Real Time e Disney, è infatti sua la voce che accompagna Arianna Costantin ne “Il mio nuovo sogno” di “Rapunzel“, e ha registrato con turnisti di fama mondiale quali Phil Palmer e Phil Spalding. Durante la sua permanenza negli Stati Uniti, nel 2015, nasce “Wepro” e si presenta al pubblico rilasciando “The White EP” e “The Black EP“, entrambi autoprodotti. Tra Boston e New York, si è fatto le ossa suonando nei club più importanti, arrivando addirittura a esibirsi in uno show case per la Major Columbia Records.
L’anno seguente, rientra in Italia portando con sé il suo alter ego musicale ed esordendo alla grande: partecipa, nel 2018, a Sanremo Giovani, facendosi notare dalla rivista Rolling Stone. Nel 2019, pubblica il suo primo EP in italiano “The Story Of A Modern Drama“, anticipazione del suo primo e omonimo album, uscito a giugno 2023.
Suoni sporchi ed elettronica per il primo album omonimo di Wepro
Il disco era stato anticipato dalle uscite, avvenute nei mesi scorsi, dei singoli “Come mi vuoi“, “Nofriends” e “Il senso delle piccole cose che sono grandi“. Contenente tredici tracce più una ghost track, i brani risultano eterogenei ed eclettici ed è proprio questo ciò che rende Wepro speciale: la capacità di spaziare passando da un genere all’altro con un’abilità tipica di chi sa bene quel che fa e conosce veramente la musica. Ascoltando i suoi pezzi e districandosi piacevolmente tra suoni sporchi caratteristici delle riprese live e suoni di stampo elettronico, non si penserà mai che tutto questo sia il frutto di un qualcuno confuso sulla strada da intraprendere, anzi! Ci si ritroverà davanti a un’armonia melodica in grado di trasmettere l’equilibrio che si rintraccia nel rapporto uomo-digitale incluso nell’opera di Wepro. Così facendo, il giovane Castelluzzo ci fornisce un qualcosa di assente da molto tempo nella scena musicale italiana. Sebbene stia tornando in gran voga il pop punk, gli ascolti continuano a essere dominati da uscite trap e rap: da tempo si avverte il bisogno impellente di novità anche per quanto riguarda l’alternative rock che, finalmente, con Wepro, è stato soddisfatto e ve lo raccontiamo nella nostra intervista.
Vi presentiamo Wepro, quello di cui avevamo bisogno: ecco l’intervista
MM: Ciao Marco, come stai?
W: Un po’ esaurito ma in senso buono perché finito il delirio dell’album, dato che la maggior parte dei dettagli li curo da solo, ho pensato che sarei stato un po’ più tranquillo e invece no, perché è iniziata l’organizzazione dei live… Magari fossero questi i problemi, sia chiaro… Solo che mi piacerebbe anche poter staccare, spegnere il cellulare… So che è abbastanza utopica come cosa… Ma mi tengo questa vita incasinata, va benissimo così.
MM: Quindi è un periodo soddisfacente, stancante ma soddisfacente…
W: Sì, lo è.
MM: Allora, passando a parlare del tuo primo album… Gli hai dato il tuo stesso nome, è un tuo omonimo… Come mai una scelta simile?
W: La risposta seria è che volevo fosse incentrato completamente su di me, anche un po’ come artista, che potesse spiegare chi sono io sia dal punto di vista testuale che da quello sonoro. L’album è molto eclettico, volevo chiamarlo “Wepro” proprio per questo motivo qui, insomma… Non volevo altre distrazioni, doveva essere abbastanza centrato sul carattere dell’artista in questione. La risposta non seria è che, non sapevo come chiamarlo. (Ride.)
MM: Quindi, è proprio un tuo ritratto musicale. Hai appena definito il tuo album, sia testualmente che sonoramente, piuttosto eclettico: ti poni come alternativa nel panorama musicale, attualmente popolata da trapper e surrogati, fai la differenza…
W: Sì, o almeno, lo spero. Non ci penso più di tanto perché in realtà ho sempre gravitato intorno a questo genere, di base, provo sempre a proporre qualcosa che gli altri non fanno. Penso che sia bello fare cose diverse ma è anche un po’ problema… Purtroppo, da questo punto di vista, l’Italia non è molto accogliente, non abbraccia molto questo tipo di diversità, ma non è che a me interessi più di tanto questa cosa, nel senso: sarà sicuramente un percorso più lungo ma che potrà dare soddisfazioni più grandi rispetto a un percorso conforme.
MM: E comunque, nel tuo differenziarti dalla massa, stai avendo degli ottimi risultati.
W: Sì, con tantissima fatica: quello a cui stiamo assistendo ultimamente è il frutto del lavoro intrapreso negli anni. Fare sempre le stesse cose con costanza per poi arrivare al momento giusto, quello in cui si è pronti. Ho sempre cercato di farlo e sembrerebbe che, adesso, stia andando bene… Mi auguro che vada sempre meglio, sto già scrivendo cose nuove.
MM: Ma come è stato lavorare a un album così eclettico? Hai compiuto una ricerca piuttosto potente.
W: Sì, diciamo che sono un amante di tutti i generi musicali. Mi piace tutta la buona musica, quindi, quando a una persona come me si chiede di fare un album, io mi domando “E ora come lo faccio quest’album?”. A me piace tutto quindi è difficile ma penso anche che il nuovo rock non sia più la chitarra e il chiodo che, mi piacciono tantissimo… Adesso il vero rock è proprio la capacità di serpeggiare tra i vari generi… Uscire alla fine di questo percorso risultando solidi e restando sé stessi, tento di far vedere le diverse stanze della stessa casa. Io, personalmente, sono uno che si annoia molto facilmente e un disco rock per intero non riesco più ad ascoltarlo, quindi, avevo bisogno di fare quella cosa in cui metti la prima traccia e pensi “Ah, figo!”, metti la seconda, metti la terza e dici “Oh, ma è diversa!”. Suscitare la curiosità utile per portare avanti nell’ascolto l’ascoltatore, senza farlo annoiare. Magari non è un ascolto semplicissimo ma l’ho fatto per quell’ascoltatore che è più affine al mio modo d’essere. In questo momento, questa è la mia verità musicale. E’ importante salvaguardare la verità anche nell’arte.
Wepro: “Questa è la mia verità musicale. E’ importante salvaguardare la verità anche nell’arte.”
MM: Quali sono state le tue influenze, per quanto riguarda la tua cultura musicale, che ti hanno aiutato e hanno contribuito a plasmare queste sonorità?
W: Sono state davvero tantissime e anche con generi abbastanza diversi. Nell’elettronica, per esempio, Jon Hopkins, nell’industrial, Marilyn Manson… Nel rock un po’ più classico, gli Aerosmith e gli Oasis, passando anche per il jazz. Insomma, davvero di tutto. Sto cercando di comprendere da dove abbia attinto perché è davvero infinita la quantità di musica che ascolto. In questo momento, ad esempio, mi sono fissato con l’ambient: a casa, non riesco più ad ascoltare musica contenenti testi. Devo ascoltare musica che già mi parla, che ha già qualcosa dentro, dove non devo ascoltare qualcuno che mi dice qualcosa.
MM: E invece, a livello di contenuto, Wepro cosa racconta?
W: Penso di raccontare quello che mi circonda e ciò che viviamo mi dà tanti spunti per riflettere, sia in piccola che in larga scala, quindi per alcune cose sono veramente temi molto forti e, alcune volte, anche di protesta velata. Non sono sempre molto esplicito nei testi, non mi piace accollarmi o avere riferimenti super precisi sulle cose. E’ più bello quando riesco a essere generale e a sparare su più cose contemporaneamente. Per protesta, intendo che alcune volte mi piace giudicare gli altri tanto quanto mi piace giudicare me stesso, perché anch’io non sono una persona perfetta. La cosa che mi piace di quest’album è che la parola “RIVOLUZIONE” compare in moltissime canzoni, è sparsa ovunque ma è contestualizzata in modi diversi: c’è una canzone che si chiama proprio “La rivoluzione” e parla di una rivoluzione in realtà emotiva, è d’amore, oppure, ce n’è un’altra che si chiama “Vangeloprimo” e dice “rivoluzione che prende il nome di chi ne parla ma non la fa“, dunque presenta sempre sfumature e sfaccettature totalmente diverse… Quindi, diciamo che come temi, io parlo della vita di tutti i giorni, però, il tema di fondo è sicuramente un tema che va a prendere rivoluzioni personali, o rivoluzioni contro gli altri… C’è una frase che mi piace tanto di un mio brano intitolato “Cieloterra” che dice “se non hai tutti contro quando parli di ambizione/non pronunciare mai la parola rivoluzione“, per dire, se non hai mai avuto tutti contro quando parlavi di qualcosa che volevi fare, non puoi pretendere di parlare di rivoluzione personale. Alcune volte c’è bisogno di essere uno contro tutti e quella sensazione lì, secondo me, è stupenda perché ti rendi veramente conto di che potenza hai come persona, quindi diciamo che, emotivamente (il disco) è molto molto forte. “Perdere così” è l’unica canzone che mi sono dedicato, in tutto l’album è l’unico brano che ho scritto per me stesso. E’ una traccia con cui mi dico “Marco, stai tranquillo… Nonostante tutto, tu stai facendo questa cosa, ed è meglio perdere così. Anche se dovessi perdere, è meglio perdere in questo modo qua piuttosto che non provarci.” E’ una bella dedica che mi sono permesso e concesso di farmi nell’album. E’ un’autococcola.
MM: La tua scrittura si contraddistingue per immagini, simboli, ma soprattutto metafore che ti rendono delicato e forte al tempo stesso. Riallacciandomi così a una tua precedente definizione di rock, ovvero, che non è più inteso come quello della chitarra elettrica e del giubbottino di pelle, secondo te, adesso è rivoluzionario anche perché è sensibile?
W: In realtà, lo è sempre stato. Specialmente negli anni ’90 e nella scia degli anni 2000 che è stata sicuramente più emotiva rispetto agli anni ’80. Il rock mi piace tantissimo come genere perché, a differenza degli altri, la sua potenza veicola tante cose: tu puoi dire vaffanculo a una persona ma puoi dirle anche che ti manca, e se lo fai in un modo rock, quel messaggio è potentissimo, perciò, a me piace proprio per questo. E’ davvero un genere che ti arriva dritto sul petto in una maniera così sfacciata che ti prende l’anima; questa cosa qui mi ha sempre affascinato. Attualmente, però, il rock sta a chi lo fa, così come portarvi delle soluzioni nuove, delle innovazioni e delle diversità, evitando di riprendere ciò che è stato già fatto, anche se è così che vanno avanti le cose: si riprendono i vecchi modelli, ci si mettono le mani e si creano cose nuove, salvo quei rarissimi casi in cui qualcosa è stato creato dal nulla, adesso il rock ha tantissimo bisogno di essere rinnovato, di essere ripulito e di essere riportato in una maniera molto molto più fresca. Io spero che tutte le persone che stanno facendo rock in questo momento, vengano guidate da questa concezione qui. Nel mio, io sto provando a farlo e spero che lo facciano anche gli altri, perché il rock è un genere potentissimo. La potenza che ha il rock si manifesta anche ai live, la maggior parte dei più grandi concerti mai fatti erano concerti rock, perché quella cosa lì si manifesta dal vivo, non è un genere da cameretta. Io stesso non ascolto mai rock dentro casa, però, se sono fuori, in macchina, o devo andare a un concerto, è l’unico ascolto che faccio perché è proprio una magia che si manifesta nel mondo, nel contatto, ha bisogno di manifestarsi nella vita reale. Uno dei motivi per cui mi piace è perché è reale, è una delle poche cose ancora vere e con il rock, non si scherza: se sei uno bravo a fare cose sul computer e poi ai live fai pena, si nota immediatamente, ma se sei un rocker e sei bravo in ciò che fai, vai. Ci sono molti meno filtri, è una roba più cruda.
MM: A proposito di live, parliamo del tuo super concerto al Monk di Roma, l’8 giugno… Come è stato?
W: E’ stato bellissimo, è stata bellissima la risposta che c’è stata e che non mi aspettavo. Io sono di Lecce e, da qualche anno, Roma mi ha adottato. E’ incredibile perché, a oggi, mi sento molto più a casa qui che a casa mia in Puglia, con cui ho un rapporto conflittuale fatto d’amore e odio, perché, dal punto di vista delle possibilità musicali, non ha molto da offrirti. Invece, qui, ripeto… E’ stato stupendo: le persone sapevano le canzoni, anche quelle uscite una settimana prima. Mi sono detto “Ma che sta succedendo?!?”. A volte, mentre suonavo, abbassavo la dinamica della voce per vedere se qualcuno stava cantando e poi cantavano davvero… E’ stato bellissimo.
MM: Come ti stai sentendo rendendoti conto di quanto tu stia diventando trascinante per il pubblico?
W: Non mi adagio su questa cosa, in realtà è una piccola “responsabilità”. Riesco a capire che la gente mi capta in un certo modo, da quello che mi dicono e da quello che mi scrivono, ma a dire il vero, questa cosa non mi rasserena. Mi dà molta responsabilità. Non sono una persona che si adagia, sono piuttosto competitivo nelle mie cose. Sono contento che da tutto questo stia prendendo quel tipo di forza utile affinché la prossima volta debba fare meglio, voglia fare solo meglio. In questo momento, se dovessero domandarmi “Cosa vuoi fare adesso?”, risponderei “Meglio. Devo, voglio e posso fare meglio.”.
MM: Ultima domanda, se nel panorama attuale ti capitasse l’opportunità di fare delle collaborazioni, con chi ti piacerebbe duettare?
W: C’è una ragazza che mi piace molto, Emma Nolde, lei è veramente molto, molto, brava: con lei mi piacerebbe riuscire a fare qualcosa, quanto meno, lo spero. E’ una delle artiste che stimo di più. Se vogliamo parlare, invece, di nomi destinati al grande pubblico, l’unico che mi viene da dire e a cui mi sento più affine a livello stilistico, sebbene i nostri generi siano diversi, è Salmo. Lo vedo molto somigliante per quanto riguarda il processo creativo che attua nella sua musica.
E così, dopo aver calcato il palco del Primo Maggio a Roma, aver aperto il concerto di Tom Morello e The Cult al Medimex di Taranto e aver trascorso l’estate in tour per l’Italia, Wepro ancora non è stanco: stasera, 17 settembre 2023, lo ritroviamo sul palco dello Space Sound Fest, a Colleferro. Se siete in zona, non perdete l’occasione di ascoltarlo nel suo habitat naturale: il live. Ne resterete più che soddisfatti!
Articolo di Valentina Galante
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