Vorrei vivere in un film di Wes Anderson, inquadrature simmetriche e poi partono i Kinks. 
Vorrei l’amore dei film di Wes Anderson, tutto tenerezza e finali agrodolci. 

In questi due versi della canzone de’ I Cani, progetto musicale indipendente guidato da Niccolò Contessa, si evince la natura di tutto ciò che è il mondo di Wes Anderson.
Dal 1994, anno dell’uscita di Bottle Rocket, il regista ha trasportato il suo pubblico dentro un universo parallelo. Il suo regno è popolato da personaggi che diventano maschere, da sognatori incalliti, da adulti pregni di un infantilismo degno di Pascoli e bambini cresciuti in fretta con uno sguardo cinico sul mondo.

Moonrise Kingdom by Wes Anderson (2012) - photo credits: web
Moonrise Kingdom (2012) – photo credits: web

La nostalgia degli anni Settanta

Tutti questi caratteri agiscono e si mescolano all’interno di scenari tra il reale e il fiabesco, che diventano essi stessi protagonisti della storia. Wes Anderson non è solo un regista, è un designer visionario, uno stylist attento al dettaglio, un esteta maniacale che appone il suo tocco in ogni aspetto dell’opera.

Wes Anderson è le inquadrature simmetriche con nuance ton sur ton, il glamour vintage degli anni Settanta, le colonne sonore country rock, l’arredamento retrò arricchito dalla cultura pop, la moda che diventa costume e il costume che restituisce la moda, aspetto visibile nella scelta dei brand.


Grand Budapest Hotel (2014) - photo credits: web
Grand Budapest Hotel (2014) – photo credits: web

Costumi e moda: Fendi, Prada, Adidas

I look dei suoi personaggi, i loro accessori sono diventanti iconici, rimanendo impressi nella memoria collettiva e celebrati dal fashion system, fattore non comune dato che ogni volta in cui una maison decide di intrecciare una liason con un regista, è sempre perchè in lui ritrova una capacità di storytelling estetico unica.

Fendi è uno dei primi marchi che ha collaborato con il regista; è il caso di The Royal Tenenbaums (2001), in cui Margot/Gwyneth Paltrow indossa per tutta la durata del film un trench di pelliccia color miele, che simboleggia il lusso in cui è sempre vissuta ma anche la staticità della sua situazione personale, che non riesce a uscire dal personaggio che si è costruita sin da quando era bambina.

Wes Anderson Indie GIF by Coolidge Corner Theatre - Find & Share on GIPHY
The Royal Tenenbaums (2001) – credits: giphy.com

In Grand Budapest Hotel (2014) il set di valigie di Madame D/Tilda Swinton, cosicomme il trench in pelle di Jopling/Willem Dafoe è targato Prada. Questo per non citare le innumerevoli collaborazioni tra la maison e il regista, dal corto Castello Cavalcanti fino all’ultima esposizione di Fondazione Prada, curata con la compagna e illustratrice Juman Malouf, in cui viene ricreata un Wunderkammer. 

Castello Cavalcanti – Prada short film directed by Wes Anderson

Per essere però giusti, non bisogna pensare solo a marchi di alta moda e a un gusto prettamente elegante; Wes Anderson abbraccia e mescola con sapienza lo sportswear e lo stile uniform. E’ impossibile dimenticare la tuta rossa in acetato firmata Adidas indossata da Chas Tenenbaum/Ben Stiller e dai suoi figli per tutto il film, e ancora Adidas firma le iconiche Samba custom-made prodotte appositamente per Steve Zissou/Bill Murray.

The Royal Tenenbaums by Wes Anderson (2001) - credits: web
The Royal Tenenbaums (2001) – credits: web

Il ruolo della divisa

In particolare, la divisa presenta sempre una doppia valenza. Diventa un porto sicuro per Lobby Boy/Zero Moustafa in quanto testimonia la sua appartenenza allo staff di un posto immaginifico come il Grand Budapest Hotel.
E’ riduttiva per Sam Shakusky/Jared Gilman, che è sì un boy scout ma diverso dal resto dei suoi compagni (aspetto evidenziato da un paio di occhiali vistosi e un basco in pelliccia); infine, è simbolo di transizione in Rushmore (1998), dove Max Fischer/Jason Schwartman la cambia proprio nel momento in cui avviene una crescita personale.


Grand Budapest Hotel by Wes Anderson (2014) - photo credits: web
Grand Budapest Hotel (2014) – photo credits: web

Se dovessimo trovare una nota dolente a Wes Anderson sarebbe sicuramente il fatto che finito di vedere un suo film non esista davvero il mondo di Wes Anderson. Ma forse è proprio questa la base malinconica da cui ci sentiamo attratti, la motivazione del perchè vorremo congelare quei paesaggi e quei silenzi per immergerci almeno per un minuto nell’universo surreale più affascinante che ci sia.

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