Quindici anni da quel 13 novembre 2005, da quando tutti i telegiornali annunciarono la notizia della morte di Eddie Guerrero, il wrestling ha perso uno dei suoi più grandi interpreti, sicuramente tra i più amati in Italia negli anni del secondo vero boom televisivo nel nostro Paese, dopo il primo a inizio anni Novanta segnato dai vari Hulk Hogan, Ultimate Warrior e così via.

Quello che tragicamente ha segnato anche la sua morte, ad appena 38 anni, in quella maledetta camera d’albergo del Marriott City Center di Minneapolis. Un arresto cardiaco se l’è portato via all’improvviso. Quando suo nipote Chavo Guerrero lo ha trovato senza vita, Eddie aveva ancora indosso l’accappatoio e lo spazzolino nella mano. Si stava preparando per andare a registrare una nuova puntata di SmackDown, show televisivo di cui era diventato una colonna portante. I rumors dell’epoca parlavano di un suo imminente ritorno sulla vetta della WWE, in programma per lui c’era un Triple Threat Match titolato contro Batista e Randy Orton. Sarebbe potuto tornare campione del mondo a distanza di un anno e mezzo da quella cintura conquistata a No Way Out 2004 contro Brock Lesnar, coronando una delle favole più belle raccontate dal wrestling in quell’epoca. Probabilmente si stava apprestando a concedere il bis. Purtroppo per lui (e per tutto il mondo del wrestling), quell’incontro non lo ha mai potuto disputare.

Se la WWE era riuscita a tornare prepotentemente nei palinsesti italiani, in fondo, era proprio grazie a personaggi come lui, Rey Mysterio, John Cena e molti altri, tutti carismatici e capaci di emozionare il pubblico. Nello specifico quello che interpretava sul ring era un tipo controverso e coinvolgente, proprio come lo era del resto nella vita reale, vissuta tra alti e bassi, tra clamorose discese e altrettanto rapide risalite. Eddie Guerrero, nato a El Paso (Texas), associava un carattere debole a un innegabile talento, qualità che portava anche nell’interpratazione di quel luchador messicano che sul ring e al microfono agiva sul motto “I lie, I cheat, I steal” (io mento, io frego, io rubo). Un “bad boy”, insomma, ma che il pubblico non poteva fare a meno di adorare, sposando a pieno la moda del “Latino Heat” e di quel “W la Raza” che accompagnava ogni suo ingresso nelle arene. Perché i suoi sotterfugi per arrivare all’obiettivo in un certo senso erano proprio ciò che i fan desideravano, immedesimandosi in lui e nelle sue battaglie contro avversari il più delle volte molto più pesanti e quotati. A volte questi mezzucci servivano per sconfiggere il cattivo di turno, altre semplicemente per sorprendere tutti.