Quali giocatori si sono meritati, ad oggi, l’essere presi in considerazione per i premi che saranno assegnati a fine stagione.
MVP
Antetokounmpo – Harden
La corsa al titolo di MVP è serratissima e se, da una parte, c’è “Il Barba”, detentore in carica del titolo di miglior giocatore della stagione, che sta mettendo a referto sera dopo sera numeri impressionanti (35,9 punti di media con il 44% dal campo e il 36% da 3 punti), soprattutto da Dicembre in poi (Per sapere di più sulla clamorosa serie di partite di Harden, clicca qui), che superano quelli fatti registrare la scorsa annata e che quindi dovrebbero garantirgli di diritto il “Back-to-back MVP”, dall’altra “The Greek Freak” sta disputando una stagione fantastica da leader della squadra con il miglior record della NBA, i Bucks.
Milwaukee in estate ha assunto Budenholzer che ha messo Giannis al centro del progetto tecnico e, di comune accordo con il front office, lo ha circondato di tiratori, riuscendo a tirare fuori il meglio dal ragazzo greco, ancora solo 24enne. Nonostante la giovane età, Antetokounmpo gioca con una maturità incredibile su entrambi i lati del campo, prendendo quasi sempre le decisioni giuste e riuscendo a mettere in ritmo i compagni quasi ad ogni possesso. In questa sfida a distanza, ha davanti Harden che invece, come interpretazione delle gare, è quasi agli antipodi rispetto al greco: gli oltre 13 tentativi da 3 punti a partita (contro i nemmeno 3 di Giannis) e il pochissimo gioco nel pitturato e in generale nell’area, fanno dell’ex Thunder il giocatore perfetto per D’Antoni e per il sistema dei Rockets e, se non ci fosse Antetoukoumpo, sarebbe il Most Valuable Player della stagione, ma, a meno di un mese dalla fine della Regular Season, il favorito sembrerebbe essere l’ala greca.
DPOY
George – Gobert
Sono due giocatori completamente diversi: uno è un 6 volte All-Star, l’altro è soprattutto uno specialista difensivo per la sua squadra e le motivazioni per le quali sono in corsa per questo premio sono altrettanto diverse.
Mentre Gobert è un protettore del ferro (2,3 stoppate a partita per il centro francese) e l’ancora attorno alla quale gira il sistema difensivo che coach Quin Snyder ha dato ai Jazz, George ha costruito la sua difesa su istinto e posizionamento sulle linee di passaggio ed è infatti primo nella NBA con 2,2 palle rubate a gara. L’ex Pacers, inoltre, prima dell’involuzione offensiva dell’ultimo mese, era in piena corsa addirittura per il titolo di MVP ed è probabilmente il miglior giocatore “two-way” (Attacco e difesa), insieme a Kahwi Leonard, della Lega.
Gobert, invece, ha appena vinto il titolo di miglior giocatore della settimana della Western Conference, avendo contribuito enormemente alle 4 vittorie nelle ultime 4 gare dei Jazz con 16,5 punti, 15,5 rimbalzi, 2,3 stoppate e quasi il 70% al tiro, dimostrando i miglioramenti offensivi e confermando le grandi doti difensive che gli hanno permesso di aggiudicarsi il “Defensive Player of the Year” già nella passata stagione.
Se si dovesse ripetere raggiungerebbe un’élite della quale fanno parte soltanto 5 centri (Mutombo, Wallace, Olajuwon, Howard e Mourning), mentre se i votanti decideranno di premiare un esterno sarebbe una cosa alquanto rara, visto che nella storia del premio, a parte Leonard nel 2015 e nel 2016, l’ultima volta che un “non-lungo” è stato insignito del riconoscimento è stata nel 2004, quando a trionfare nella categoria fu Ron Artest).
ROY
Doncic – Young
È probabilmente il “duello” dall’esito più scontato, in quanto Doncic sta facendo vedere cose che mai si erano viste per un giocatore al primo anno in NBA (Per “scoprire” la stagione di Doncic, clicca qui), grazie soprattutto alla sua pluriennale esperienza con la maglie di Real Madrid e Solvenia da questa parte dell’oceano, ma anche Young, in special modo da dopo la pausa per l’All-Star Game sta impressionando e non poco.
In quasi ogni categoria statistica, il confronto pende dalla parte del rookie dei Mavericks, ma la cosa che impressiona di più dello sloveno è l’impatto sul record di Dallas (4,3 win shares contro il 2,7 di Young) e la maturità, inimmaginabile per un giocatore così giovane, nei possessi decisivi, nonché i record stabiliti (Doncic è già a 5 triple doppie in stagione ed è stato il più giovane a raggiungerne 2).
Nonostante il record non positivo di entrambe le franchigie (24-47 per gli Hawks e 28-42 per i Mavs), i rispettivi tifosi possono dormire sonni tranquilli, poiché le speranze, da una parte e dall’altra, sono enormi e le basi sulle quali costruire ci sono tutte, sperando, perché no, nell’arrivo di qualche stella in estate, visto il tanto spazio salariale che avranno a disposizione in estate sia Atlanta che Dallas.
SMOY
Williams – Rose
I pretendenti a questo titolo sono tanti, a partire da Dinwiddie che sta facendo vedere grandi miglioramenti ed è l’arma in più a disposizione di coach Atkinson tra le riserve, fino ad arrivare a Sabonis e Harrell, i due lunghi con più impatto da subentrati di tutta la NBA, ma Lou Williams e Derrick Rose spiccano su tutti, per diverse ragioni, in questo variegato gruppo.
Il primo ha costruito l’intera carriera sull’impatto in uscita dalla panchina, elemento sempre più fondamentale nelle squadre vincenti (Per sapere perché il “Sesto Uomo” è così importante nella NBA, clicca qui), ed è difatti diventato da poco più di una settimana il giocatore con più punti segnati da “riserva” nella storia della Lega, superando gli 11.147 di Dell Curry.
L’altro, invece, viene da un background più prestigioso, visto il titolo di MVP conquistato nel 2011, a soli 22 anni, ma nell’ultimo periodo sembrava caduto nel baratro tra infortuni e problemi personali, tant’è che nella scorsa stagione ha disputato soltanto 25 partite con delle medie piuttosto rivedibili. In questa stagione, invece, la rinascita: la decisione di restare ai Timberwolves con coach Thibodeau (Poi licenziato) lo ha rivitalizzato e, anche se la squadra non gira nel modo giusto, Rose si è innalzato a leader silenzioso (18 punti con le migliori percentuali della carriera e oltre 4 assist ad allacciata di scarpe per l’ex Bulls), cercando di essere d’esempio a Towns e Wiggins, i giovani di talento (Più il primo del secondo) sui quali la franchigia del Minnesota ha puntato per il futuro (Per scoprire le mosse della nuova “ricostruzione” dei Timberwolves dopo lo scambio che ha portato Jimmy Butler a Philadelphia, clicca qui).
Nonostante ciò, l’indiziato numero 1 ad aggiudicarsi il premio è Williams: gli oltre 20 punti a partita lo fanno essere il miglior marcatore dei Clippers, squadra da Playoff con 8,5 partite di vantaggio sui TWolves, ed è sempre lui a gestire i possessi importanti e i finali di partita. Vincendo si aggiudicherebbe non solo il secondo riconoscimento consecutivo, ma anche il terzo della carriera, impresa riuscita soltanto a Jamal Crawford, anche se quasi tutti i “romantici” della palla a spicchi vorrebbero vedere Rose con un altro premio in mano.
MIP
Siakam – Hield
La corsa a uno dei premi più controversi della NBA (Non si sa mai se vadano premiati i giocatori in ascesa oppure chi rinasce dalle ceneri) sta giungendo al termine e tra cali e battute d’arresto, i papabili vincitori rimasti sono il lungo dei Raptors e il bahamense dei Kings.
I rispettivi ruoli sono diversissimi così come quelli che svolgono per le loro squadre, dato che Hield è la stella di una Sacramento in rinascita (Noni ad Ovest e con record positivo dopo anni: i Kings non arrivavano a 34 vittorie dalla stagione 2003-2004) ed ha le caratteristiche perfette per giocare vicino a DeAron Fox, mettendo in pratica il più possibile il basket che coach Joerger vuole che giochi, tant’è che è passato, rispetto alla scorsa stagione, da 13,5 a 20,9 punti a partita, migliorando del 2% nel tiro dal campo e del 3% in quello da 3 punti nonostante i 5 tentativi in più a gara rispetto alla passata stagione.
Siakam, invece, è l’ago della bilancia di una Toronto che è seconda a Est e punta al titolo NBA, dopo l’acquisizione di Kahwi Leonard in estate. Il camerunese ha più che raddoppiato il contributo in fatto di punti (Da 7,3 a 16,4) e aumentato sensibilmente l’impatto sui due lati del campo, ma va anche detto che il minutaggio è cresciuto di oltre 11 minuti a gara, dato che si è guadagnato un posto fisso in quintetto base con l’arrivo di Nick Nurse, allenatore avuto dall’africano in G-League, sulla panchina dei Raptors. Meriterebbero entrambi il premio e solo sul filo di lana si deciderà questo testa a testa, ma le prospettive rosee ci sono per entrambi.
COY
Malone – Rivers – Budenholzer
Per il premio di “Allenatore dell’Anno” i concorrenti sono 3, visti i sorprendenti risultati ai quali hanno guidato le rispettive franchigie. Se Budenholzer ha aggiunto nuovi tiratori (Ilyasova, Mirotic e Lopez), cercando di allargare il più possibile il campo e di liberare l’area per una stella del calibro di Antetokounmpo, raggiungendo risultati straordinari (I Bucks, primi a Est, hanno vinto 53 partite sulle 71 disputate finora), Malone è passato con i suoi Nuggets, nonostante avesse a disposizione praticamente lo stesso roster della passata stagione, da un nono posto a Ovest nella Regular Season, alla prima piazza a pari merito con i Warriors (47 vittorie e 22 sconfitte per entrambe), creando un “No-Star-System” nel quale ogni sera un giocatore diverso può prendere il palcoscenico e farlo suo e al cui centro è posto uno dei migliori 5 lunghi della NBA, Nikola Jokic, che sotto la guida dell’ex allenatore dei Kings è migliorato sensibilmente sia come finalizzatore che come creatore di gioco.
Rivers, invece, ha subito moltissime modifiche nella rosa da due anni a questa parte e, anche lui come Malone, ha mancato i Playoff la scorsa stagione nonostante un record positivo (42-40) e nessuno, soprattutto dopo lo scambio nel quale i Clippers hanno rinunciato a Tobias Harris, spedendolo a Philadelphia in cambio di scelte e di Shamet per puntare al futuro, avvenuto in un periodo di involuzione nelle prestazioni e nei risultati, avrebbe scommesso su di loro per quanto riguarda un posto ai Playoff e invece “La prima squadra di Los Angeles”, come l’ha definita Patrick Beverley, è a soltanto una vittoria dal quinto posto in una difficilissima Western Conference e in pochi vorrebbero incontrarli in postseason, considerati il grande equilibrio del quintetto e l’impatto della miglior panchina della Lega.
Fra meno di un mese le statistiche finali della Regular Season delineeranno un quadro più chiaro, ma i capolavori fatti da questi 3 allenatori non sono di certo passati inosservati.