L’appuntamento settimanale del “Cinema per stomaci forti” oggi vira verso un grande classico: “Non si sevizia un paperino“. Dalla lapidazione alla questione meridionale, dai bambini morti ammazzati a Pier Paolo Pasolini.
Oggi voglio fare qualcosa di diverso.
Se vi aspettate un’altra puntata colma di frattaglie e inni alla carnografia, oggi purtroppo rimarrete -ahimè- delusi.
Perchè oggi vi voglio proporre un film a cavallo tra due generi, dove l’horror c’è ma è serpeggiante. S’insinua tra le righe di un Mistery che s’è guadagnato un posto d’onore tra i Classici del Cinema. Non si sevizia un paperino è un film diretto da Lucio Fulci – maestro del Gore italiano – con protagonista Florinda Bolkan, una delle attrici da lui più amate e che più è apparsa nei suoi lavori.
Inutile negare che il nome di Lucio Fulci risuona più per il suo giusto nel gore che per il suo lavoro nel Giallo. Ma un suo vero fan si rende subito conto di come il genere investigativo sia nel cuore del regista, che fa del Mistery un vero e proprio approccio alla narrazione. Infatti trovo molto ingiusto definirlo solo come un “maestro dello splatter”. Questo perchè il Maestro Lucio Fulci ha davvero fatto il suo miglior lavoro con film che ha tutti i crismi del Giallo, prima di raggiungere il successo internazionale con Zombie e consacrarsi nell’Olimpo dell’Horror.
Con Non seviziate un Paperino (1972), Fulci non solo ha creato un film che è stato uno dei suoi film più potenti ma anche un grandissimo Giallo che non ha nulla da invidiare alle atmosfere dei migliori lavori di Argento e Bava.
“Non si sevizia un Paperino”
Parliamo di uno dei film preferiti dello stesso Fulci, nonchè uno dei film più inquietanti e morbosi girati dal regista.
Il film si apre con inquadratura in esterna di una pittoresca scena pastorale. Una catena di basse montagne ondulate e collinette erbose, sottolineata dall’eco lontana di un canto. Il campo lunghissimo ha un’impostazione pittoresca che lentamente sfuma in una panoramica e ingrandisce a sinistra per mostrare un’Autostrada. La macchina da presa non si muoverà più così gradualmente se non nel mostrarci il cast sullo schermo. Tipico infatti dell’uso eccessivo e intenzionale di Fulci dello zoom e degli scatti, con un movimento continuo di camera. Vediamo subito una prima scena morbosa e grottesca. Una donna che, all’angolo della strada, scava una piccola fossa dalla quale estrae il cadavere di un neonato. La donna fugge.
L’ambientazione in un paese retrogrado del sud Italia era inedita sino ad allora nel thriller italiano. Il soggetto del film è ispirato ad un fatto reale avvenuto a Bitonto nel 1971. Infatti ci fu una serie di omicidi con bambini come vittime.
Un po’ di trama:
Ci troviamo ad Accendura, un piccolo villaggio rurale italiano, dove sta avvenendo un’ondata di infanticidi. Di fronte alla crescente furia del villaggio la polizia guidata dal Capitano Modesti (Ugo d’Alessio), è alla frutta. Interessante notare il livello nella popolazione di percezione percezione di inettitudine delle forze dell’ordine.
Una giornalista della città, Andrea Martelli (Tomas Milian), trova un accendino in una scena del crimine. L’accendino è di Patrizia (Barbara Bouchet), una donna bella e promiscua con alcune strane abitudini notturne. Nel frattempo, la polizia punta invece il dito contro Maciara (Florinda Bolkan). Perchè? Semplicemente perchè è un reietta, la gente del posto crede sia una strega.
Tutti i personaggi sono caratterizzati con tratti forti, marcati. Andrea trova testimonianza di uno degli omicidi nella dichiarazione di Malvina (Fausta Avelli), la sorella disabile del sacerdote locale, Don Alberto (Marc Porel). Anche il sacerdote non è libero dall’aura inquietante che aleggia nel luogo e infatti ha anch’egli dei segreti.
Le tematiche principali in “Non si sevizia un Paperino” e perchè si differenzia dai suoi simili del genere:
Il film è morboso, avanza lento e inesorabile: non necessita del sensazionalismo cui siamo abituati quando vediamo le moderne storie di Detection. Anche per questo chiamato “anti-giallo”, il film si differenzia per una serie di punti. A partire dalla sua ambientazione rurale – speculare al più popolare setting della grande città – la pellicola sfoggia una sensazione di isolamento che normalmente non si otterrebbe da un film del genere.
Nel fare ciò, Fulci usa proprio temi come l’isolamento e la paura del diverso per creare sospetti su coloro che sono percepiti come diversi. La xenofobia, diffidenza innata verso chi si discosta da canoni prestabiliti, è tipica nelle piccole comunità (assimilabile alla Gemeinschaft del sociologo Ferdinand Tonnies). Fulci utilizza la peculiarità della sua ambientazione in modo magistrale. Ci narra così non solo una storia coerente e ben impostata tecnicamente; ma nel farlo compie una profonda analisi sulla questione del Sud Italia.
In effetti, in tipico stile Fulci, il film mette anche la chiesa cattolica in una luce negativa. Vediamo come questa cerchi, al livello locale, di controllare il villaggio – ma di per sé dovra poi rispondere per i suoi peccati. Anche questa tematica è perfettamente coerente con un’analisi cruda e profonda del Meridione in Italia, che porta ancora strascichi di queste dinamiche sociali. In combinazione con il magistrale lavoro fotografico, l’atmosfera che ne risulta è sì caotica, in perfetto stile Fucli, ma serve a attirare lo spettatore in un mondo che si discosta dal normale Giallo. Ma non solo: narra di un mondo che, come spettatore medio-borghese di città, non è forse abituato a vedere.
Nessun tipo di edulcorazione, serpeggia anche una non sottile critica sociale all’entroterra agricolo del sud e alla sua arretratezza culturale, in contrasto col progresso che si fa strada in quegl’anni.
Sul meridione:
Con una serie di sequenze, con la caratterizzazione di alcuni personaggi e non solo, il regista mette in evidenza i dettagli di un mondo intriso di problematiche profonde. Il film ha varie chiavi di lettura e molti livelli di analisi, erroneamente percepite come prospettive anti-meridionali.
La Questione Meridionale, come è stata chiamata nel diciannovesimo secolo in Italia, è la costruzione del Sud come “altro” partendo dal canone del Nord in Italia. Questo non si trova nelle rappresentazioni del sud nel film di Fulci. Molto più probabile è invece che il cinema di Fulci vada analizzato in una prospettiva secondo cui la tortura è al centro. Ma non solo: crea una spinta centripeta per tematiche più ampie, che sono sì ad essa collegate nella narrazione ma che non si identificano con la stessa. Il film affronta gli spettatori con terribili eventi da cui possiamo avanzare una politicizzazione del Sud, e l’Autostrada è la chiave di questa configurazione.
La pellicola si articola sull’attrazione di opposti: scontri tra canto pastorale bucolico e grida di terrore; tensioni tra poli speculari nell’astrazione del paesaggio (pilastri di cemento e autostrade con zone erbose e selvagge). Sono espedienti con cui ci racconta una storia e quasi non ci accorgiamo del messaggio politico di fondo. Solo un occhio attento lo scova. La tecnica narrativa è sublime: attraverso l’uso di primi piani estremi e tiri lunghi si materializzano nel linguaggio filmico tutti i problemi del cosiddetto sviluppo e sottosviluppo in Italia. Scene desolate, immense, vuote – dietro le quali un silenzioso orrore accade inesorabile.
Il Mezzogiorno Giallo:
Lo scrittore Xavier Mendik definisce il sotto-genere il “Mezzogiorno giallo” in un suo testo del 2014. Il genere si vuole focalizzare su di un piccolo ma significativo numero di gialli ambientati nella Mezzogiorno in Italia. Questi operano intorno a binomi dicotomici quali città/campagna, nord/sud, cultura borghese/cultura rurale. Generalmente sono ambientati durante gli anni di piombo ( dal 1969 al 1978).
C’è una critica alla modernità codificata nelle articolazioni dei personaggi del mondo rurale nel giallo italiano. In quella che sembra una sfida alla compiacenza dell’età moderna, Fulci immerge materialmente anche lo spettatore nelle devastazioni delle asimmetrie tra Nord e Sud. Facendolo ci fa attraversare a pieno la sua poetica degli opposti.
Troviamo quindi largo uso di cornici claustrofobiche, stereotipi, una narrazione “corporea” che vuole esprimere visivamente la veracità violenta di uno specifico ambiente sociale.
Fulci e i cinque sensi: un regista “tattile”
Vorrei fare un paragone con il cinema di Pier Paolo Pasolini. L’uso del primo piano in Fulci è funzionale alla narrazione. Si concentra spesso su dettagli del corpo, tra cui quest’ultimo, al fine di dare “un corpo” alle sue scene. La centralità del volto è invece una componente chiave in tutto il cinema di Pasolini.
Si può dire però, seppur con meccaniche diverse, che l’influenza di quest’ultimo abbia contribuito a modellare la politica del Sud Italia allo stesso modo delle attrazioni cruente di Fulci. Vediamo come l’horror di Fulci ricordi i volti di Pasolini. Sono come visioni materiali che non si rivelano in modo rappresentativo, ma si impegnano in modo affettivo e corporeo.
Entrambi eretici marxisti plasmati dal cattolicesimo, i due sostenevano il Sud come uno spazio di radicale alterità. Se Pasolini ha romanticizzato il Sud e sostenuto la sua religiosità semi-pagana, la versione di Fulci del Sud iè più pessimista. Il Mezzogiorno diventa un luogo dove indugiava a prender posto il progresso, schiacciato dell’egemonia settentrionale.
Il realismo onirico di “Non si sevizia un Paperino”
Mentre la sua città di Accendura è fittizia, il film è in realtà l’unico giallo ambientato in un Sud Italia, come dire… vero. Non il costruito mondo rurale che non riesce a staccarsi dalla narrazione bucolica del mitico. Un dettaglio fondamentale alla comprensione degli intenti politici di Fulci è nel luogo stesso: “Non si sevizia un Paperino” non è collocato in nessuna specifica regione del Sud Italia. Questo perchè è un film che si occupa del Sud in generale. Questo è un dettaglio che rende il film in un certo senso sovversivo. In cui l’immaginaria cittadina è uno spazio per Fulci crea per sfidare l’egemonia settentrionale e cattolica con uno stile cinematografico spesso scioccante.
Nel film, Andrea Martelli è un giornalista di Roma che incontra Patrizia. La donna è esiliata nella casa di famiglia ad Accendura dal suo ricco padre milanese. Patrizia è percepita come estranea dalla gente del posto perché esibisce valori cosmopoliti, e perciò diversi. La città negli occhi del paese. Uun occhio rurale che rifiuta ciò che è diverso e vede nel cosmopolitismo urbano una minaccia per la sua stessa esistenza.
A morte la strega!
Altro esempio si trova quando, durante le indagini, viene mostrata Maciara che sta scavando resti scheletrici e immergendo spille nelle teste delle bambole. Questa diventa subito una sospettata e viene arrestata dalla polizia.
Dopo il suo rilascio, anche se la polizia le ha mostrato di essere innocente, viene linciata da una folla locale. Non si fatica a comprende come mai Patrizia ora diventa sospettata, poiché è anch’essa percepita come “diversa”.
Si nota come la figura della donna sia particolarmente declinata nel film: da un lato c’è patrizia, simbolo della repressione sessuale dei paesi a forte matrice cattolica; dall’altro c’è la Maciara, che simbolezza un altro lato del sud cattolico: la misoginia interiorizzata.
Le Gemeinschaft si basano su forti meccanismi di auto-conservazione: tanto quanto la solidarietà è interna verso chi sente di appartenere alla comunità, la diffidenza è esterna e si può tramutare facilmente in violenza. Dopo che la presunta strega viene lapidata, calpestata e bastonata violentemente con catene e bastoni, a fatica riesce a trascinarsi sino ai margini dell’autostrada, dove muore tra le auto che sfrecciano indifferenti. Si ripropongono gli opposti, le dicotomie e le contraddizioni di un luogo crudele e bucolico, isolato in un mondo governato dal Capitalismo in ascesa: come un’oasi di natura e sangue incorniciata dalle autostrade.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma non voglio annoiarvi.
So che vi aspettavate una puntata incentrata su disgusto e frattaglie, ma vi assicuro che questo capolavoro di Mistery non solo fa una paura pazzesca, ma coglie in pieno lo spirito che ormai dovreste aver intuito io amo ricercare nelle pellicole horror. La cornice orrorifica e sanguinolenta può essere uno splendido espediente per far riflettere su questioni sociali, fare critiche di natura politica.
E pochi autori hanno saputo farlo alla maniera di Fulci, pochi film hanno saputo farlo come “Non si sevizia un Paperino”
Inquietante la scena della bambina disabile (con evidenti ritardi e un’aura terrificante) che trascina serafica una bambola mozzata, lercia, decapitata. Bambini morti, ossa di neonato dissotterrate da mani le cui unghie nere grattano fameliche, omicidi efferati e sessualizzazione della morte: Fulci è anche questo. Non si sevizia un Paperino è anche questo. Tipico di Lucio Fulci, in linea con la poetica degli opposti, è quello di confondere lo spettatore con un’analogia visiva tra sessualità e violenza, tra corporeità e morte.
La scena finale è letteralmente un cranio che si fracassa in un bagno di sangue che cola inesorabile tra le rocce: la natura morta di quella roccia, illuminata dal torbido e secco sole del Sud sembra volerci dire qualcosa. Una metafora che illustra come la peggior crudeltà, la più grande distruzione, è quella che avviene come un evento naturale. Inarrestabile e senza il minimo dubbio, sorda e cieca.
In conclusione:
Crudele, estetico e con tutti le possibili in mezzo, “Non si sevizia un Paperino” è un’opera avvincente e seducente, parte di un filone ingiustamente sottovalutato. Se veramente finora avete pensato di amare il genere ecco un grande Classico: guardatelo. Perchè solo a quel punto potrete dire di amare veramente l’horror.
Ah, vi anticipo un easter egg: Paperino è veramente importante come elemento della storia, come snodo risolutivo del mistero nel film.
Dopo Inside, Calvaire e Baskin, anche questa puntata di
Bloody Mary, Bloody Friday
s’è conclusa. Ho scelto questo film perchè è ricorsa la nascita del Maestro Lucio Fulci proprio qualche giorno fa. Auguri Maestro: ho voluto omaggiarti così. Voi vedete il film, non vene pentirete.
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