Il 24 maggio del 2014 si spegneva il maestro Paolo Salvati. Pittore, liutaio, restauratore ma soprattutto artista dall’animo profondo, in grado di infondere un respiro vitale in ogni sua opera.
Paolo Salvati, il poliedrico artista
Quando ci si trova nei pressi di un mare in tempesta o di un placido declinare di colline verdeggianti, può sorgere il desiderio di trovare un modo per riuscire a catturare l’immagine di come il vento sconvolga le onde o di come scorra sinuoso tra le fronde degli alberi. Paolo Salvati, artista talentuoso e poliedrico, aveva il dono di riuscire nel difficile intento di cogliere in pieno l’immagine e l’emozione dei suoi soggetti. Che si trattasse di paesaggi marini o campestri, la sua tecnica impeccabile incontrava sempre la sua sensibilità profondissima; giungendo al connubio perfetto che imprimeva un afflato di vita sulla tela.
Il colore è il senso dell’arte moderna, il colore domina la lettura dell’opera prima, in una dimensione spirituale e divina
Paolo Salvati, le radici e il ritorno
Nato e cresciuto nella Roma del secondo dopoguerra, forgia la sua innata creatività grazie al supporto degli zii pittori, Fernando e Gabriele Patriarca. I suoi esordi professionali furono segnati da una formazione tecnica con l’impiego presso lo studio romano dell’architetto Marcello Rutelli. In seguito, nel 1966, con il trasferimento in Sardegna per il coinvolgimento in alcuni cantieri edili in qualità di geometra.
A causa di un tracollo finanziario, nel 1973 Salvati scelse di abbandonare l’isola per tornare a Roma, tentando di coltivare la propria creatività artistica. Nella capitale diede vita a un primo laboratorio di cornici in cui sperimentare tecniche di incisione e di doratura. Successivamente, decise però di rilevare l’attività del padre trasformando la sua bottega da fabbro in un nuovo laboratorio. Accrebbe così la produzione di tele e raffinò le tecniche per la realizzazione di cornici, diventando un vero punto di riferimento nel panorama romano.
Paolo Salvati e Piazza Navona
Se durante il giorno si dedicava alle attività del laboratorio, la sera, chiusi i battenti, si recava a Piazza Navona.
Il cavalletto si posizionava la mattina presto per ottenere il posto migliore, il cielo tra i campanili di Sant’Agnese in Agone era sempre il frammento e il piacevole dettaglio della mia libertà
Passava con disinvoltura dai paesaggi alle miniature ai ritratti, tutti capolavori da cui riusciva difficilmente a distaccarsi nonostante riscuotesse un certo successo nelle vendite. Piazza Navona era anche lo scenario dei tanti rapporti di amicizia intessuti con intellettuali come gli artisti: Federico Boido, Pietro Rapisarda, Zandi Zandieh, Aziz Karim e il poeta Giuseppe Avarna.
Una nuova strada
Nell’estate del 1993 un incontro fortuito spinse l’artista a mettere da parte per sempre Piazza Navona: quando il Principe Don Agostino Chigi Albani della Rovere, collezionista e mecenate, gli chiese “Maestro lei ha un atelier?” Salvati avvertì la richiesta come un’espressione di apprezzamento che gli conferiva un’autorevolezza superiore agli artisti da piazza. In quel preciso istante acquisì una consapevolezza mai raggiunta: prese così avvio un periodo di grande sperimentazione nel campo della doratura e della liuteria.
Paolo Salvati, l’arte indelebile
Durante gli ultimi anni di vita Salvati dovette ridurre molto l’attività creativa a causa di un incidente che causò grandi limitazioni fisiche e che nel 2014 portò alla morte dell’artista. Durante le esequie celebrate in Santa Maria in Monte a Piazza del Popolo, fu esposto un capolavoro della fortunata serie Albero Blu, come un ultimo saluto a tutti coloro che lo avevano supportato e amato.
Il soggetto del grande albero dai rami secchi e nerboruti, aveva occupato spesso le creazioni di Salvati nel corso di tutta la sua vita. Egli stesso lo definiva come: “l’artista che disperatamente, cerca ancora di restare in piedi nonostante i segni del tempo siano in lui molto evidenti e tutto intorno la natura continua a vivere in un trionfo di colore.” Proprio questo uso di un colore trionfante ma mai scomposto, lo ha contraddistinto avvicinando le sue opere all’avanguardia espressionista da cui però si distanziava per liricità e compostezza.
Con lo sguardo volto ai maestri del passato come William Turner, Claude Monet e Vincent Van Gogh, Salvati riusciva ad attualizzare ogni pennellata bagnandola in una luce velata di rosa o azzurro, come se fosse capace di fermare le prime ore del mattino sulla tela. La sua lettura della natura era poetica e intima, talvolta percorsa da un eco malinconico o dal vibrante rombo di una tempesta imminente. Ogni folata di vento, ronzio o sciabordio delle onde, veniva convertito in colore e ogni colore trovava il suo accordo sulla tela, trasformandola in un capolavoro vivo e vivente.
di Flavia Sciortino
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