Uso della parola raptus da parte di Ansa. Photo Credits: ansa.it

È di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo femminicidio nel torinese, dove un uomo dopo aver sparato a moglie e figli si è suicidato. Un altro episodio di triste e lucida follia che nasce dalla cultura del possesso, purtroppo ancora trattata da molte testate come un raptus del momento.

Femminicidio e non raptus

Non riusciamo a credere e siamo amareggiate di come, ancora oggi, si continui a parlare di raptus per quello che è un segno dell’educazione patriarcale del nostro, e purtroppo, di molti altri paesi. Non solo il tragico e incommentabile gesto di porre fine alla vita di tre esseri umani, ma anche un uso sconsiderato delle parole, come per esempio fa Ansa.it, che descrive il terribile fatto come “raptus omicida“.

Questo significa negare a tout court l’esistenza di un problema culturale di violenza a scapito delle donne, continuare a pensare e quindi a scrivere con estrema superficialità e quindi gravità, perché come diceva Nanni Moretti “le parole sono importanti“: hanno un peso sul nostro mondo, lo definiscono. Al tempo stesso è la nostra formazione, evidentemente e storicamente di matrice patriarcale, che va a influire sulle parole che si usano e “raptus” non è certamente una parola adatta al contesto.

La cultura del possesso

Raptus, come Treccani insegna, rappresenta un “impulso improvviso e incontrollato che, in conseguenza di un grave stato di tensione, spinge a comportamenti parossistici per lo più violenti”. Nessuno vuole negare l’impulso e lo stato di tensione, ma un atto di questo tipo non può essere trattato superficialmente come un “momento di pazzia”. Vanno analizzate le cause profonde.

Raptus o «Roba mia, vientene con me»?

Bisogna comprendere perché molti pensano, come il protagonista di un famoso romanzo di Verga: «Roba mia, vientene con me». Quindi diventa lecito uccidere la propria “roba” prima di farla finita.

È un male storico, il mito del controllo e del potere da parte di chi pensa di dominare l’altro o l’altra, eventuali figli compresi. Questo non è più accettabile, non nel ventunesimo secolo, con tanto lavoro che si può fare per smascherare ed eliminare la concezione del partner e prole come oggetti di proprietà. Tanto per cominciare potremmo iniziare a parlarne in questa ottica: nessuno appartiene a nessuno se non a se stesso.

In una serie di studi BRAVE abbiamo analizzato il fenomeno sociale del femminicidio proprio al fine di cambiare l’approccio sociale al tema. Se ti interessa leggici qui:

Femminicidio, sappiamo cos’è?

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