Il codice da Vinci ha incassato nel 2006 ben 758 239 851 dollari in tutto il mondo. E 2 milioni di questi solo in Italia, nel primo giorno di programmazione. Il fascino esercitato sul pubblico globale da questo film da record non si è però certamente fermato lì. Ron Howard si è infatti allora trovato nella fortunata condizione di poter girare Angeli e Demoni (2009) e Inferno (2016), sequel dell’acclamato thriller.
Nata, come ben sappiamo, dalla penna del pluripremiato Dan Brown (che compare in un cameo abbastanza evidente), la storia è incentrata sulle avventure del professor Robert Langdon, interpretato da Tom Hanks. In quanto esperto di simbologia, a Parigi il professore viene assoldato per risolvere un omicidio che lo trascinerà in una tenebrosa fuga tra enigmi e tuffi nella Storia. Al suo fianco Sophie Neveu (Audrey Tautou). Ad essere scomodati invece i piani alti della Chiesa, nonché la storia del Cristianesimo stesso. Che c’entri qualcosa tutto questo con il successo al botteghino?
La fortuna del “Codice da Vinci”
Certamente la regia di Howard (candidata tuttavia ai Razzie Awards 2006), i grandi nomi (non dimentichiamoci Sir Ian McKellen) e la musica da sogno di Hans Zimmer hanno fatto la loro parte. Ma il caso mediatico costruito intorno all’uscita del film ha fatto qualcosa in più. Si insistette molto sulle 40 milioni di copie vendute dal copioso best seller di Dan Brown. E sull’ambientazione che prevedeva poi vari spostamenti per l’Europa e location fuori dal comune (il Louvre, tra queste). E c’era poi quella questione parecchio scottante, che fece non a caso dell’Italia uno dei paesi il cui il film andò meglio.
Il codice da Vinci riscrive la Storia, al punto da scatenare manifestazioni, proteste religiose e condanne ecclesiastiche. Molti non volevano neppure che arrivasse in Italia. E invece il film fu in tutta risposta proiettato in un numero spropositato di sale, divenendo, come sappiamo, uno dei più grandi successi al botteghino che il nostro paese ricordi.
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Manuela Famà