Veneto. PFAS, PFOS e altri composti sono stati trovati in un elevato numero di alimenti. Gli enti di controllo ambientale e le autorità locali potrebbero aver avuto un ruolo chiave nel ritardare interventi e indagini penali a carico dell’azienda chimica Miteni.
I dati che arrivano dalla cosiddetta Zona Rossa, l’area più contaminata da PFAS e PFOS del Veneto, sono sconcertanti. Contaminati sia alimenti di origine vegetale che animale.
“Le verità sul caso PFAS”
È Greenpeace che ha diffuso i dati nel rapporto “Le verità sul caso PFAS: come la popolazione veneta è stata condannata ad anni di grave inquinamento”. I dati diffusi sono i risultati del monitoraggio sulla presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) fatto dalla Regione. Per anni la Regione Veneto ha negato l’accesso a questi dati e solo dopo una lunga battaglia legale contro autorità competenti si è potuto diffonderli.
Dal monitoraggio emerge una situazione abbastanza critica. Numerosi alimenti sono contaminati da PFAS, PFOS e da altri composti di applicazione industriale introdotti più di recente.
Le ‘mancanze intollerabili’ della Regione Veneto
“Nonostante i valori allarmanti, dal 2017 la Regione Veneto non ha effettuato ulteriori monitoraggi né intrapreso azioni risolutive per azzerare l’inquinamento e ridurre, almeno progressivamente, la contaminazione delle acque non destinate all’uso potabile. Inoltre, per quanto è noto, risulta che la Regione ha finora ignorato il rischio per l’intera comunità nazionale e non solo, visto che alcuni di questi alimenti potrebbero essere venduti anche all’estero. Si tratta di mancanze intollerabili: chi è responsabile della salute pubblica ha il dovere di fare tutto il possibile per affrontare concretamente un problema sanitario così rilevante” dichiarano Mamme NO PFAS e Greenpeace.
Nonostante nel 2020 l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare abbia ridotto di quattro volte il limite massimo di PFAS, la Regione Veneto non ha cercato soluzioni per tutelare la popolazione veneta e le filiere agroalimentari, né ha fatto nuove valutazioni.
Gli alimenti contaminati
Albicocche, uva da vino, lattuga, mais, latte, uova sono tra gli alimenti trovati contaminati. In totale gli alimenti trovati con almeno una molecola di PFAS sono 26, 204 campioni su 792 (i dati sono inferiori al rapporto del 2019). Nello specifico si va dai 600 ai 3500 nanogrammi per chilo nelle albicocche, dai 100 ai 1300 nella lattuga, dagli 800 ai 2900 nell’uva da vino, dai 100 ai 37100 nelle uova, come riporta greenme.it.
L’area geografica monitorata non include la cosiddetta zona arancione e altre zone toccate dalla contaminazione. Inoltre per produzioni importanti e diffuse le analisi sono risultate insufficienti. Per spinaci e radicchio è stato fatto solo un campionamento mentre cereali, kiwi, meloni, soia e mele non sono stati analizzati.
I ritardi delle nuove analisi e il ruolo della Regione
Mamme NO PFAS e Greenpeace hanno chiesto per oltre quattro anni di conoscere gli esiti dei monitoraggi eseguiti nelle aree venete più contaminate. Solamente ora sono riusciti ad ottenere i dati completi e georeferenziati del campionamento degli alimenti eseguito della Regione Veneto nel 2016-2017. Il “Piano di campionamento degli alimenti per la ricerca di sostanze Perfluoroalchiliche” rileva i Comuni più contaminati da PFAS. La zona rossa si estende in Comuni di tre province: Verona, Vicenza e Padova.
I dati ottenuti dalle due associazioni sono inferiori a quelli contenuti nella relazione del 2019 dell’ISS. Questi fanno riferimento al 2016-2017 e da allora non ci sono state nuove indagini, nonostante le criticità rilevate. Inoltre non sono state prese delle misure per cercare di ridurre progressivamente la contaminazione delle acque.
Da quanto emerso la Regione Veneto starebbe programmando un nuovo campionamento e indagini, nonostante la delibera della Giunta Regionale fosse arrivata già nel 2019, due anni fa. Gli alimenti non sono stati controllati per oltre quattro anni.
“L’inerzia istituzionale dimostrata dalla Regione stride con quanto stanno facendo altri enti pubblici; l’Europa, ad esempio, introdurrà presto il divieto per più di 200 PFAS, al contrario in Veneto non si riesce ad effettuare nemmeno un monitoraggio degli alimenti, con cadenza almeno annuale, volto a tutelare la popolazione contaminata e le filiere zootecniche e agroalimentari.” Si legge nella nota.
Non solo PFOA e PFOS
Le uniche due molecole presenti nell’indagine resa pubblica dall’ISS nel 2019 sono PFAS e PFOS. Nel rapporto emergono però altre molecole. Sono molti gli studi che dimostrano la pericolosità dei PFAS e per questo l’EFSA nel 2020 ha ridotto il limite settimanale assumibile.
“Nonostante la forte revisione al ribasso dei parametri di sicurezza sia avvenuta da più di un anno non è comprensibile, e tantomeno accettabile, che non sia seguita alcuna nuova valutazione né tantomeno un’azione concreta di tutela della popolazione e delle filiere agroalimentari e zootecniche da parte della Regione Veneto.“
La richiesta di nuove indagini
La comunità scientifica chiede alla Regione Veneto di “avviare al più presto un nuovo monitoraggio sugli alimenti prodotti in area rossa e arancione e, partendo dai dati del 2017, di adottare misure urgenti per ridurre i rischi per la salute delle persone”. Mamme No PFAS e Greenpeace potrebbe richiedere di analizzare l’intero set di dati.
Dal monitoraggio del 2017 25 Comuni risultano in Zona Rossa A, 26 in Rossa B, 12 Comuni in Arancione e 45 in Gialla. I Comuni si estendono nelle province di Vicenza, Verona e Padova e le percentuali di contaminazione variano dal 16% a Legnago al 48% a Brendola.
È possibile leggere il rapporto completo sul sito di Greenpeace Italia.
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