Benvenuti nell’universo cinematografico di Movie Award. Faremo un viaggio a Cannes alla scoperta di un film che ha vinto la Palma d’oro in maniera sorprendente. Parleremo di Grecia, poesia e mediterraneo. Abbiamo dedicato questa puntata a “L’eternità è un giorno” di Theo Angelopoulos
“Ho semplicemente sperimentato questo stile nel mio primo film, l’ho trovato congeniale al mio modo di fare cinema, e da allora, non l’ho più abbandonato”
Così in un’intervista Theo Angelopoulos spiegò la nascita del suo stile lento, metaforico e onirico. Un marchio di fabbrica che ritroviamo anche in “L’eternità e un giorno” dove la metafora la fa da padrone nella storia e nelle immagini. Il tutto in un film intimista e poetico dove simboli e allusioni sono alla base della pellicola. Un fattore importante lo gioca anche la scrittura della sceneggiatura realizzata da Angelopoulos con Petros Markaris e Tonino Guerra.
L’eternità e un giorno e lo sperimentalismo del tempo
In “L’eternità e un giorno” Theo Angelopoulos continua con lo sperimentalismo formale dei film precedenti. Immagini, movimenti di macchina e suono sono tutti complementari in film dove passato e presente si fondono in unica dimensione con il futuro che diventa l’eternità stessa. Questa pellicola è un viaggio interiore portato avanti da un perfetto Bruno Ganz nei panni di un poeta greco che ritrova una vecchia lettera della moglie su un giorno d’estate di trent’anni prima su un’isola greca.
La vittoria nell’anno di La vita è bella
Nel 1998 la giuria del Festival di Cannes presieduta da Martin Scorsese assegnò all’unanimità la Palma d’oro ad Angelopoulos. Sebbene “L’eternità e un giorno” sia considerato da molti un capolavoro non mancarono le critiche di chi considerava questo film troppo artificioso e poetico. Questa pellicola vinse a Cannes nell’anno in cui c’era sulla croisette il capolavoro di Roberto Benigni “La vita è bella” a cui andò il Gran Prix speciale della Giuria.
Stefano Delle Cave