Reagan To ha dieci anni, ed è colei che ha prestato la voce all’ormai iconico robot, della bambola di Squid Game, serie Netflix. Recentemente ha dichiarato “Non ho visto niente. […] Anche a mio fratello di 14 anni hanno proibito di guardare il film televisivo”.
Squid Game troppo violento per i bambini
La giovane attrice che nella serie ha dato voce alla bambola del primo gioco “Uno, Due, Tre Stella“, e che interpreta anche la figlia del protagonista, non ha visto la produzione finale. Ne ha guardato solo alcuni spezzoni non violenti.
Si stima che Squid Game in due mesi, abbia affascinato oltre 150 milioni di utenti, diventando così la serie Netflix più vista di sempre al suo esordio.
Tra tutti questi telespettatori non possiamo però contare Reagan To che, al The Morning Show dichiara: “Ricordo la sera che mio padre e mia madre hanno deciso di guardare Squid Game, che era popolarissimo. Non si aspettavano di sentire me.”
La bambina di origine coreana ha raccontato la sorpresa dei genitori: “Non avevano idea, quindi mia mamma è andata a cercare informazioni su internet e ha scoperto che avevano usato la mia voce in molti video di YouTube e persino per una scenetta del Saturday Night Live. È stato davvero molto divertente.”
Ma nel momento in cui sono iniziate le scene violente sullo schermo Reagan To non ha più potuto vedere niente a causa di queste; “Mia madre mi ha mostrato solo alcune scene della serie, poi ha spento la tv.”
Un sentimento condiviso da moltissimi genitori.
L’allarme all’emulazione
Non vuole arrestarsi il fenomeno di Squid Game, e con esso anche il dibattito che lo accompagna dove ci si chiede se sia una serie effettivamente diseducativa per i giovani.
In alcune scuole italiane si è parlato di un “allarme di emulazione” da parte dei bambini che durante l’intervallo cercavano di riprodurre il gioco di “Uno, Due, Tre, Stella” nel modello di Squid Game; una questione che ha coinvolto anche diversi paesi europei.
Per questo è stata lanciata anche una petizione da parte della Fondazione Carolina Onlus, nata per combattere il cyberbullismo, per cancellare la serie.
La responsabilità però non è da far ricadere su Netflix, come spiega il segretario generale della fondazione Ivano Zoppi a Fanpage: “Sappiamo che la responsabilità non è di Netflix […] quanto l’assenza dei genitori. Non basta solo il parental control, serve che i genitori abbiano parte attiva nel processo educativo dei figli. Puntiamo ad accendere i riflettori su questo tema”.
A prescindere quindi, da quali siano i mezzi a disposizione, appare chiaro che non è necessario tentare di cancellare la serie.
Sarebbe molto più utile probabilmente se in questi casi, ci fosse solo una maggiore responsabilità non solo di educare, ma anche di controllare alcuni contenuti. D’altronde film e serie violente sono sempre esistite.
L’atteggiamento adottato dai genitori dell’attrice Reagan To sembra un buon modo per cercare di evitare ogni possibile rischio di emulazione.
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