Noto scrittore, poeta, drammaturgo, sceneggiatore e traduttore Samuel Beckett è ricordato per aver adottato una scrittura tutt’altro che razionale, ma decostruita e simbolo del fallimento dell’uomo. Massimo esponente del “Teatro dell’Assurdo“, allievo di James Joyce nonché uno degli intellettuali più influenti del secolo scorso, ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura nell’anno 1969.

Samuel Beckett e il “Teatro dell’Assurdo”: l’angoscia dell’uomo moderno

Samuel Beckett ha adottato una scrittura sperimentale che gli ha permesso di sovvertire la consequenzialità dell’azione e dunque di rompere tutti gli schemi. Nato a Dublino nel 1906 e morto nella sua amata Parigi nel 1989, è considerato un autore complesso, dalla reputazione derivante da una vita psicologica molto tumultuosa: durante i tempi del college maturò numerose perplessità inerenti ai rapporti interpersonali, molti dei quali incompiuti. Questa caratteristica sarà presente nel metodo stesso di scrittura: nessuna delle sue opere sarà completata per la pubblicazione.

Il suo periodo più produttivo fu quello tra il 1945 e il 1955. Beckett era tra gli esponenti più rinomati del “Teatro dell’Assurdo”, denominazione coniata dal suo fondatore, Martin Esslin, per indicare “l’assurdità dell’esistenza”. Gli aspetti peculiari di questa “corrente artistica” furono: abbandono di un costrutto razionale e del linguaggio logico-sequenziale, presenza di dialoghi senza senso e ripetitivi al punto da risultare goffi e provocare il sorriso del pubblico, nonostante la tematica tutt’altro che gioiosa. L’uomo contemporaneo era in crisi e sul palco veniva rappresentata la sua alienazione. La vita non poteva essere felice perché l’uomo era fondamentalmente un fallito negli atti concreti dell’esistenza.

“Il teatro dell’assurdo” secondo Beckett: “Aspettando Godot”

Questa ossessiva visione negativa derivava chiaramente dalle due guerre mondiali durante le quali l’uomo aveva mostrato il peggio di sé e ciò aveva contribuito alla nascita di una mancanza di fiducia generale, soprattutto nello stesso genere umano. Beckett, dal canto suo, aveva riportato questi sentimenti rivoluzionando completamente il teatro contemporaneo. L’opera più famosa era proprio “Aspettando Godot”, una rappresentazione priva di luoghi e uomini, asettica. Due, infatti, erano i protagonisti e unici personaggi: Vladimir e Estragon. Si trattava di due uomini sconosciuti, dei quali non si sapeva nulla. La loro principale preoccupazione era l’attesa di un terzo uomo di nome Godot che non sarebbe mai arrivato. “Tragicommedia dell’attesa” sarà definita, in cui la stessa scena veniva ripetuta in ogni atto fino alla comprensione dell’arrivo mancato di Godot.

La felicità era simboleggiata da Godot, e per gli uomini (non tutti) di quel particolare periodo storico colmo di crudeltà, era solo una triste proiezione. La letizia non deriva dall’esterno, il quale certo può condizionare, ma tuttavia nasce dall’interiorità. Il modo in cui l’uomo decida di farsi scalfire dall’esterno all’interno dipende dalle sue radici e dal suo vissuto. Più i valori sono saldi più lo scudo sarà possente e le negatività diverranno solo possibilità di progresso. D’altronde De André scriveva: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

Giusy Celeste

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