Per le persone che frequentano TikTok sarà stato impossibile evitare il tormentone degli ultimi due mesi: “a negroni sbagliato with prosecco in it”, frase pronunciata dall’attrice Emma D’Arcy che nella serie House of the Dragon interpreta la legittima (?) erede al trono di spade. Per com’è costruita l’intera prima stagione dell’universo di George R.R. Martin sarebbe impossibile non desiderare fare aperitivo con la fazione nera dei Targaryen eppure, sotto sotto, nei minuti di silenzio tra il finale di stagione e i suoi titoli di coda la sensazione che aleggia è che non tutte le cose siano al posto giusto e che alcune di esse siano forzatamente strutturate per orientarci verso lo schieramento più giusto della storia anche se, indubbiamente, costituito da personaggi con una morale artificiosa, intransigente e crudele.

Diciamoci la verità, fare il tifo per i Targaryen neri non solo risulta troppo facile ma anche palesemente voluto e, tutto sommato, non sarebbe strano se non fosse che la sceneggiatura della stagione porta la firma di Martin. Fin dagli albori di Game of Thrones, l’autore ci ha abituato a personaggi estremamente sfaccettati (a parte Jon Snow che, infatti, non piaceva praticamente a nessuno), caratterizzati da una moralità complessa in cui anche quelle che possono apparire contraddizioni risultano, in realtà, dolciastre rivelazioni di un personaggio di cui ci riscopriamo affamati. È stato facile quindi perdere la testa per Rhaenyra Targaryen, Rhaenys Targaryen e la loro prole di giovani, educati e buonissimi eredi eppure, finita l’ultima puntata, è stato altrettanto semplice odiarli. E quindi è per questo che credo che la serie sui Targaryen possa dare degna sepoltura alle ultime stagioni di Game of Thrones e dare nuova linfa vitale a un universo che sembra non voler smettere di sussurrare.

House of the Dragon, i sussurri della nuova leva

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Di sussurri è fatta l’intera stagione, costituita da non detti, da strategie di gioco, da verità e imbrogli: nessuno dei Targaryen decide di giocare a carte scoperte. Men che meno Daemon Targaryen, che risulta uno dei personaggi più controversi nella guerra al trono; Daemon si presenta pieno di rancore e odio, crudele e violento eppure, alla fine della stagione, i commenti parlano di un personaggio attraente ma anche amorevole che ci fa sentire entusiasti di averlo nella nostra stessa squadra, al punto da farci dimenticare che ha ucciso senza pietà sua moglie con un sasso pur di sposarne un’altra. A questo voltagabbana di Daemon credo sia più giusto e apprezzato il suo Anakin, l’erede del lato oscuro della forza: Aemond Targaryen. Non è forse il bambino monello che ruba il drago più grande del mondo pur di prendersene uno, che svela per primo le carte in tavola e che, per questo, paga perdendo un occhio, il personaggio chiave e rivelazione dell’intera storia? Colui che ha acceso la miccia della guerra e che, sul dorso del suo enorme drago, ha perso tutta la sua spavalderia, permettendo a noi di intravedere un’umanità inedita. È una frazione di secondi quella che divide la morte del nipote e l’emozione di preoccupazione che gli muta lo sguardo: da quel momento lui sa, come lo sappiamo anche noi, che il mondo non sarà più lo stesso e, probabilmente, neanche lui.

La squisita crudeltà di Larys Strong, l’inettitudine tossica di Criston Cole e le fragilità temprata di Alicent Hightower rendono i verdi uno schieramento da non sottovalutare. Sia chiaro che in House of The Dragon non mancano gli scivoloni, quasi sicuramente dettati da esigenze di trama, che lasciano annebbiate motivazioni e conseguenze e che noi, da spettatori, sottovalutiamo nella smania dello spettacolo. Tuttavia, l’universo di Martin ha dimostrato di saper supportare un profondo e consapevole utilizzo della macchina da presa con una scrittura complessa e affilata. Chi studia sceneggiatura sa bene che solitamente scrivere gli antagonisti è difficile quanto plasmare il protagonista; i buoni sono tali perché si contrappongono a cattivi e i cattivi devono essere all’altezza dei buoni. In realtà credo che nel cinema, come nella serialità, sia inutile parlare di buoni o cattivi, non esistono quasi mai confini nel cinema: solo rivoluzioni, o guerre. Ed è nello sguardo finale di Aemond che Martin parla chiaro: la guerra sta per iniziare e nessuno sarà pronto ad affrontarla, né i verdi né i neri.

Le ultime parole di Viserys Targaryen: un altro modo di sentire

Il consiglio finale quindi è quello di riguardare la stagione dall’inizio e capire quali sono i punti ciechi strategicamente studiati, per ricordare a noi stessi che la guerra sullo schermo potrà essere una guerra che noi combattiamo all’interno di noi stessi. Sarebbe interessante capire dove e perché decidiamo di dare importanza a determinate cose e tralasciarne altre; per rimanere, infine, sorpresi dal fatto che, nel magico gioco della serialità televisiva, non siamo mai al timone della nave ma possiamo decidere come guardare quella nave: se farci trasportare e seguire il filo rosso che ci è stato prefissato, oppure interrogarci su ciò che stiamo guardando. Allo spettatore di House of the Dragon non viene nascosto niente ma sta a lui scoprire nei sussurri più silenziosi, verità incredibili ed emozionanti. Come quella nascosta nelle ultime due parole di Viserys Targaryen che hanno salvato l’intero arco narrativo di un personaggio e fatto venire a tutti e tutte noi il bisogno di qualcosa di molto più forte di un Negroni sbagliato.

Benedetta Vicanolo

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