Il 20 gennaio 2020 la Commissione Cinese Nazionale per la Salute, con una storica conferenza stampa, racconta al mondo ciò che dagli ultimi giorni del 2019 si temeva: il nuovo ceppo virale, che al tempo era in buona parte dell’occidente noto in maniera ancora superficiale, sia per episodi registrati, sia per reali conoscenze scientifiche, si trasmette da uomo a uomo. Tale annuncio sarà il punto di inizio di una reazione a catena di eventi (taluni prevedibili, talaltri no) che porteranno il mondo a rivivere ciò che per generazioni è stato studiato nei libri di medicina o, al più, raffigurato, ridimensionando magari la portata degli eventi, ad aree più circoscritte, nei libri di storia: una pandemia.
Il lockdown di Wuhan
Il 23 gennaio 2020 viene annunciato il primo lockdown di massa della storia contemporanea, che coinvolge oltre 60 milioni di cittadini cinesi su un’area tra le più vaste del paese, bloccando di fatto la regione. Nel mentre, ciò che venne riconosciuto dalla comunità internazionale con la denominazione di SARS-CoV-2 iniziava ad avere una identità, riconducibile ad un coronavirus dei pipistrelli, e una presumibile provenienza, localizzata in quello ad oggi è noto come “pandemic’s Ground Zero“, il mercato di Wuhan.
Nonostante siano ormai passati anni, il dramma segna ancora la memoria dei cittadini e la paura insita in loro si è riversata anche nei tempi recenti, quando il governo di Xi Jinping ha fatto cadere moltissime delle restrizioni che con la “zero Covid policy” si erano applicate, conferendo una sorta di via libera a tutta la popolazione, optando per un ritorno repentino al precedente stile di vita, anziché una graduale riapertura.
Euronews riporta le dichiarazioni delle persone comuni, coloro che più di tutte le categorie sociali ed economiche hanno sofferto delle scelte intraprese durante gli anni di pandemia, dalle chiusure serratissime alle riaperture frettolose: “Non è stato facile vivere qui questi anni. Ognuno ha dovuto affrontare diversi livelli di difficoltà nel lavoro e nella vita”, racconta un uomo; “[…]quest’anno le cose sono andate peggio che allora: è stata la prima volta che le persone hanno iniziato a contagiarsi veramente tanto, più che gli altri anni”, così una donna.
La “zero Covid policy”
Ma cosa si intende per “zero Covid policy“, effettivamente? In realtà, in maniera trasversale, ci sono manovre, scelte politiche e ragioni scientifiche che ancora oggi risuonano nei nostri stili di vita quotidiani, dal lavoro agli ambienti domestici e sociali, che possono essere ricondotte a percorsi intrapresi in tutto il mondo per cercare di fronteggiare la pandemia. Ad esempio, c’è chi utilizza pedissequamente, ormai per abitudine, le mascherine anche in quelle nazioni in cui non c’è più obbligo, oppure chi per etica preferisce forzarsi ad isolamenti al minimo sentore di malessere. In Cina tutto ciò è stata la regola imposta dal governo fino a poche settimane fa: lo scenario raffigurato dalla loro politica di contenimento era quello di un azzeramento assoluto anche del supposto sintomo, imponendo chiusure e restrizioni intense su intere aree, anche vaste.
Il dietrofront di Xi Jinping
Le regolamentazioni della “zero Covid policy” cinese sono state ridiscusse a seguito delle proteste avvenute a fine 2022, motivate da un terribile incendio in una palazzina in quarantena nello Xinjiang, che ha provocato la morte di dieci persone, impossibilitate a cercare riparo a causa dei sigilli imposti per il contenimento. Da quel momento in poi, un plebiscito di rivolte ha incanalato le sue forze nell’unica speranza di concludere questo inferno di chiusure e controlli.
Il cambio di direzione c’è stato, magari tardivo rispetto all’occidente, ma è stato allo stesso tempo frettoloso, annullando le limitazioni circa gli spostamenti, sparendo i giganteschi hub dove si effettuavano i tamponi periodici imposti dal governo e declassando il coronavirus a una malattia infettiva di “categoria B”. Il repentino cambio di rotta ha fatto sì che la popolazione riavesse tutto e subito a distanza di pochi giorni da quanto non aveva nulla se non il ricordo della normalità e non è un caso che proprio in queste settimane si registrano picchi di contagi fuori scala rispetto ai tre anni precedenti, una situazione a cui il popolo cinese, già vessato dal profondo dissesto economico interno, non è stato abituato, avendo a monte soluzioni di estremo contenimento anche al minimo sintomo o sospetto di contagio.
Nel mentre che la popolazione cinese vive allo stesso tempo una ripresa della normalità e una crisi del lavoro, delle nascite e dell’economia, il mercato di Wuhan resta chiuso. Non è un memoriale, non è un gesto simbolico, è uno strascico dell’infezione che siamo diventati bravi a chiamare “long Covid effect” ma che, in questo caso, non resta residuo nei polmoni, nella gola, o in qualche minuscolo alveolo polmonare del nostro sistema respiratorio; esso colpisce l’accezione più emotiva del cuore che difficilmente ha il coraggio di riprendere a battere con lo stesso ritmo.
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