Il nuovo film di Steven Spielberg, acclamato dalla critica e candidato a ben sette premi Oscar (tra cui quello per il migliore film), è un racconto intimo sulla gioventù del regista e sul suo amore per il cinema. The Fabelmans è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma ed è uscito nelle sale italiane il 22 dicembre.
The Fabelmans: una lettera d’amore
The Fabelmans mette in scena la storia di un ragazzino con un chiodo fisso: il cinema. Il film parte mostrandoci un bambino, Sammy Fabelmans, che fa i capricci perché non vuole entrare in sala. I suoi genitori, allora, si danno da fare per convincerlo, ognuno alla propria maniera. Il padre Burt (Paul Dano) cerca di coinvolgerlo spiegandogli il funzionamento meccanico della Settima Arte. Ventiquattro fotogrammi al secondo bastano per ingannare l’occhio umano, e fargli credere che una serie di immagini fisse sia un movimento. Mitzi (Michelle Williams), la madre, è più romantica: il cinema è magia, il cinema è amore.
Scienza e arte, presenze costanti nel cinema di Spielberg. L’eredità importante lasciatagli dai suoi genitori. Unite, scienza e arte creano la magia del cinema, e Sammy Fabelmans ne viene sin da subito colpito. Assiste a Il più grande spettacolo del mondo (1952, di Cecil B. De Mille), e il deragliamento di quel treno non lo spaventa, anzi, fa scattare in lui la voglia di riprodurlo. A casa, il piccolo Sammy riprodurrà ciò che ha visto con un trenino telecomandato. E lo farà più e più volte, perché quel movimento ripetitivo soddisfa il suo desiderio di controllo. Sarà Mitzi a mettergli in mano la macchina da presa per fargli filmare quello scontro, così Sammy potrà rivederlo ogni volta che desidera.
The Fabelmans, la dedica di Spielberg a sua madre
Sammy (Gabriel LaBelle) cresce e impara ben presto i trucchi del mestiere. Costringe chiunque gli sta accanto a mettersi a disposizione per le sue riprese: dalle due sorelline al padre, fino agli amici dell’estate. I suoi filmati sono apprezzati, ma per Burt quello che fa resta comunque e soltanto un hobby. Sua madre è di diverso avviso. Lei, d’altronde, lo può comprendere meglio: ha rinunciato a una sfavillante carriera da pianista per via del matrimonio, ma nel cuore resta un’artista.
In questo racconto il personaggio di Mitzi (la cui interpretazione è valsa a Michelle Williams la candidatura al Premio Oscar come miglior attrice protagonista) prevale in modo particolare, e ci dà l’impressione che Spielberg abbia voluto dedicare questo film alla madre. Mitzi apprezza suo marito, ma non accetta (e fa bene) di essere solo la moglie di un brillante ingegnere. Ama i suoi figli, ma ama molto anche se stessa e non rinuncia alla sua sensualità. Esemplare in questo senso è la scena in cui danza davanti a un falò coperta solo da una camicia bianca, di fronte allo stupore di tutti e al disgusto di sua figlia.
Il cinema rivela, il cinema inventa
The Fabelmans è un film straordinario per il modo in cui il suo autore è riuscito a trattare una storia semi-autobiografica con grande lucidità. Veniamo introdotti in una famiglia ebrea che vive negli Stati Uniti tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, una famiglia a tratti ingombrante per Sammy Fabelmans. La sua passione per il cinema, infatti, viene stimolata, ma fino a un certo punto, perché prima o poi si è costretti a scegliere tra l’amore per la famiglia e quello per la sua passione artistica. Come gli ricorderà lo zio Boris (Judd Hirsch) in un monologo talmente accorato da spaventare Sammy.
Il cinema metterà a dura prova Sammy, che attraverso la visione di un filmato verrà a conoscenza del rapporto tra sua madre e il migliore amico del padre, Bennie (Seth Rogen), lo zio acquisito della famiglia Fabelmans. In questo sta il valore rivelatorio del cinema, di fronte al quale Sammy assiste impotente a ciò che il suo occhio non aveva mai percepito, o forse non aveva voluto vedere. Per contro, in un’altra sequenza ci verrà mostrata un’altra faccia, opposta eppure collegata, del cinema: la capacità di manipolare la realtà. Il capetto del college, infatti, viene ripreso (e montato) da Sammy come un campione, un leader perfetto senza ombre. E il ragazzo stesso si sentirà preso in giro da quelle immagini, perché in fondo sa di non essere un vincente. Così, in questo, ci viene mostrata tutta la potenza della macchina cinematografica, la sua capacità di creare una nuova realtà, e di farci sognare.
Una chicca sul finale
Come se non bastasse, Spielberg ci riserva una sorpresa finale. Sammy è frustrato dal college, perché il suo sogno è ancora quello di un tempo: fare il regista. Per questo, manda in continuazione delle lettere di presentazione a varie case di produzione, ma non riceve mai nessuna risposta. Fino a che, un giorno, gliele arriva una: è da parte di un autore televisivo. Sammy va al colloquio, ma l’autore gli ricorda che la proposta è per fare televisione, non cinema…
Però, gli dà una grande occasione: conoscere il più grande regista della storia. E’ così che Sammy fa la conoscenza di John Ford, il maestro del western. Sotto un cappello rustico e una benda nera all’occhio, si cela un volto noto: è quello di David Lynch, uno dei più grandi registi del nostro tempo. L’uomo, che ha il fare da avventuriero tipico dei personaggi dei suoi film, è sbrigativo con Sammy, ma gli dà l’avviso che più gli sarà utile: l’orizzonte al centro è noioso! E come non dargli ragione…
Di Eleonora Quarchioni
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