Lezioni pubblicato da Einaudi con la traduzione di Susanna Basso è l’ultimo libro di Ian McEwan, Il celebre autore britannico, premiato nel 2017 come uno dei più grandi interpreti della contemporaneità. Nelle sue opere emerge lo scandaglio psicologico dei personaggi, le cui esistenze si intrecciano capillarmente con la Storia e la società dei tempi che racconta. Il romanzo si apre con il protagonista Roland Baines davanti a un pianoforte a muro con accanto la sua maestra Miriam Cornell, in quello che è in realtà un ricordo insonne del Roland adulto, l’uomo in debito di sonno sulla sua sedia a dondolo con in braccio il figlio Lawrence.
Il primo capitolo del romanzo suggerisce dunque una narrazione non lineare rimbalzata tra passato e presente. Da questa prima legata al pianoforte che ha lasciato ferite aperte, si dipana un lungo elenco di lezioni impartite a Roland dalla sua lunga vita, una vita come tante dopotutto con slanci e ricadute. Non andava proprio tutto male, ma andava abbastanza male.
In questa frase la sintesi perfetta che McEwan fa dell’esistenza di Roland Baines, un uomo a lui forse più vicino di quanto si possa pensare. Entrambi nati nel 1948, hanno attraversato la Storia del ventesimo secolo. Tra gli eventi sfiorati da Roland ci sono la crisi dei missili di Cuba, la catastrofe di Chernobyl, la guerra per il controllo del canale di Suez, la caduta del muro di Berlino e la pandemia da Covid 19.
Ian McEwan e la lezione di Joyce: Prima percepiamo poi precipitiamo
In un test che la scuola britannica fa su di lui, viene fuori che Roland è un soggetto incline all’intimità, alla continua ricerca di contatto emotivo con il prossimo che gli viene negato fin da bambino e che lo lascia disilluso e trascinante lungo i binari della vita che corre più veloce di lui. Figlio di un capitano in servizio in Libia dal temperamento rigido Robert Baines e della fredda Rosalind, le cui vite verranno a loro volta raccontate come a comporre un puzzle esistenziale complesso, si innamora dell’ambiziosa Alissa Eberhard che lo abbandona con il figlio di pochi mesi Lawrence.
Nel panorama letterario contemporaneo, ci siamo imbattuti di recente in racconto simile di una vita intera che passa il testimone alla fine alle generazioni avvenire, parliamo del Colibrì di Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega. La narrazione di McEwan, che sceglie il discorso indiretto libero in terza persona, fa scivolare sulla pagina torrenziali flussi di coscienza che richiamano naturalmente l’opera di Joyce.
Con la sua vena artistica prima brevettata sulla musica poi sulla poesia Roland è una versione contemporanea dell’artista Stephen Dedalus, mentre il suo trascinarsi dentro il tempo lo avvicina ai grici personaggi di Svevo, da cui lo allontanano le lezioni del titolo. Gli insegnamenti in grado di renderlo un uomo migliore. A sottolineare la vicinanza stilistica al mondo di Joyce c’è l’esergo tratto dall’ermetico “Finnegans Wake” (1939): First we feel. Then we fall (prima percepiamo. Poi precipitiamo).
Eleonora Ceccarelli
Seguici su Google News