Divulgatore di Filosofia napoletana. Della vera anima vesuviana. Dai vicoli fino agli anfratti, è stato la voce della gente, di speranze, sogni e verità, in un filo continuativo: come la corda dei panni stesi da un capo all’altro, che a Napoli unisce e sancisce legami. E fa correre notizie. Luciano De Crescenzo ha mille frasi e pensieri da raccontare, che sono diventati gadget su magliette, frasi nei baci Perugina, copioni di film e libri best seller. Rileggiamo gli stralci più amati, che ancora oggi, fanno parte dei discorsi di tanti napoletani.
Professore della porta accanto Luciano De Crescenzo
Da Ingegnere Ibm, a artista del Novecento. È stato anche venditore di tappeti in un negozio a Piazza Municipio. E cronometrista alle Olimpiadi 1960. Luciano De Crescenzo, oltre l’arte di arrangiarsi, ha una sapiente predisposizione alla novella e all’affabulazione letteraria. Specializzandosi in scrittore di gioie e dolori della sua città. “I napoletani sono un popolo pieno di devozione cristiana, ma non hanno mai veramente abbandonato le tradizioni pagane. Sono sempre rimasti un po’ politeisti. È proprio l’idea di Dio, del Dio che è uno, che noi napoletani facciamo fatica a digerire. Prendete i protestanti, quelli appena hanno un guaio, anche piccolissimo, dicono subito: “My God”. Noi non diciamo mai “Mio Dio”, preferiamo rivolgerci a qualcuno di più preciso, per questo invochiamo i santi […]. In certi casi particolari, si sceglie di rivolgersi alle anime del purgatorio”.
“I sorsi di caffè napoletano: brevi, gustosi, ma capaci di salire nelle vicinanze del cervello e fargli un po’ di sano solletico (Dal libro “Il Caffè sospeso”). E dal suo primo romanzo del 1977 “Così parlò Bellavista”: “Napoli per me non è la città di Napoli ma solo una componente dell’animo umano che so di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no. A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana”… “E chi lo sa! Chi lo sa come è Napoli veramente. Comunque io certe volte penso che anche se Napoli, quella che dico io, non esiste come città, esiste sicuramente come concetto, come aggettivo. E allora penso che Napoli è la città più Napoli che conosco e che dovunque sono andato nel mondo ho visto che c’era bisogno di un poco di Napoli.“
Saggezza è ironia nel linguaggio di De Crescenzo
“Masaniello, tra tutti i personaggi storici, comici, politici e artistici nati a Napoli, è quello che maggiormente incarnò lo spirito napoletano. E questo perché espresse le contraddizioni, l’istinto di amore, l’incapacità di esercitare il potere, la generosità e l’ignoranza del suo popolo. Masaniello è amore e disordine”. De Crescenzo scrive con l’abilità di raccontare tutta Napoli, dai quartieri più poveri ai quartieri ricchi. Con un linguaggio comprensibile a chiunque, acculturato ma che non ostenta. E che non manifesta alcuna superiorità. Storie di personaggi veri si mescolano ai racconti di una quotidianità che è folklore a Napoli.
Il libro “Ti porterà fortuna“, uno degli ultimi lavori, è un dialogo fra il filosofo partenopeo e una giovane studentessa che scrive una tesi su di lui. Insieme vanno a scoprire l’essenza della città. A pranzo siedono Da Taniello (oggi Trattoria Romano Gaetano), e per raggiungerlo prendono la metro da Piazza Materdei. L’osteria viene scelta perché, a parte i prezzi, li si possono trovare dei piatti meno conosciuti come lo sciusciello, la zuppa maresciallo, un tortano o delle polpette fritte. La specialità del giorno è la minestra ammaretata (la zuppa fatta di trentuno verdure e quattro tagli di carne diversi). Il nome “ammaretata” vuol dire sposata. Parlando della zuppa significa un matrimonio tra verdure e carne cotte così a lungo che si fondono.
Sapiente ellenico, gentiluomo di folclore a Napoli
“Per comprendere il napoletano bisogna ascoltarlo in musica.” Suggerisce sapientemente lo scrittore. Tra le sue canzoni preferite: “Era de maggio”, “Carmela” di Sergio Bruni, “Indifferentemente” o “Voce ‘e notte“. “Ogni quartiere è un “teatro”, gli individui che lo popolano trovano la propria estensione sui balconi, che possono essere considerati da un lato dei palcoscenici pronti a raccontare le storie di chi li abita, dall’altro dei palchi da cui poter osservare lo spettacolo offerto dalla vita di strada. Il vero spettacolo non avviene tra le mura domestiche, ma prende forma non appena si sceglie di affacciare il proprio volto sul mondo esterno”. Da via Forcella a Piedigrotta, da Mezzocannone a Spaccanapoli, passando per via Chiaia e il Vomero. Innumerevoli sono gli aneddoti e citazioni. Uno per ogni vico e vascio.
“Le barche, i pescatori, il sole, il mare, il Vesuvio, Capri, Sorrento e Posillipo. Oggi ho imparato che queste cose non bisogna nemmeno nominarle perché sono tutte folcloristiche” (Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo). E ancora, sullo stesso libro: “Il popolino di Santa Lucia «fece» subito i numeri: 11 ‘o Munnezzaro, 33 ‘a Storta e 56 la femmina incinta. Non ne uscì nemmeno uno, segno che la storia nascondeva altri significati“. Non a caso dice: “Ognuno è meridionale di qualcuno“. Luciano rende giustizia e bellezza, alla sua verace città partenopea, e tutti i Sud della terra. E lo fa alla sua maniera, filosofeggiando. Inchina il capo alla sua conoscenza della filosofia antica, anche Atene nel 1994. Quando gli conferisce la cittadinanza onoraria.
L’umanità parla napoletano
“Napoli sono le persone alla stazione che ti vendono qualsiasi cosa, i clacson suonati «solo per sentirsi in compagnia», la gente che non rispetta la fila, il parlare ad alta voce, la radio a tutto volume. Napoli è Gennarino “‘o kamikazze” che «si butta sotto alle macchine per farsi pagare dalle Società di assicurazione» perché anche lui «un tozzo di pane se lo deve pure guadagnare»... È l’emigrato a Milano che vorrebbe patteggiare il prezzo di un tostapane con la caporeparto della Rinascente. È la città in cui la voglia di prendere un caffè è il «bisogno di entrare di nuovo in contatto con l’umanità»: le macchinette che per 100 lire te lo fanno premendo un bottone sono impensabili“.
«Ebbene sì, lo confesso, e non è la prima volta che lo racconto a qualcuno. Anch’io vorrei che mi dedicassero una strada… il più tardi possibile, ovviamente. Potendo scegliere mi accontenterei del vicoletto Belledonne a Chiaia, dove ho vissuto felice tra il ’45 e il ’47. Basterebbe anche solo mezzo titolo, per esempio vicoletto De Crescenzo e Belledonne». Parole scritte da lui medesimo, tratte da “Ti porterà fortuna“, affidate a un dialogo virtuale. E chissà, quanto veritiere.
Federica De Candia
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