La strage degli operai travolti dal treno a Brandizzo viene registrata nell’ultima telefonata tra l’addetto di Rfi al cantiere Antonio Massa, ora indagato, e la dirigente movimento di Chivasso.

A mezzanotte è Massa a richiamare, ma gli operai, a quel punto, sono però già sui binari di Brandizzo, benché non ci sia stato nessun via libera dalla centrale. Nella telefonata, prima che la linea cada, si sente sopraggiungere il convoglio. Quando Massa, poco dopo, riesce a ricontattare Chivasso, la tragedia è già avvenuta.

I magistrati di Ivrea ora stanno cercando di ricostruire l’esatta dinamica di quanto accaduto alla stazione attraverso le telefonate tra Massa e la dirigente. Diverse chiamate certificherebbero l’assenza del nullaosta per l’avvio del cantiere sui binari. I lavori erano previsti in quel tratto e in orario notturno, ma era necessario coordinarsi con la sala operativa perché era previsto il passaggio di tre treni: uno di linea, uno di servizio (quello che ha travolto gli operai) e un terzo all’una e mezza di notte. Per iniziare i lavori l’addetto di Rfi al cantiere avrebbe dovuto ottenere il via libera dal dirigente di Chivasso

I lavori, infatti, erano previsti in quel tratto e in orario notturno ma era necessario coordinarsi con la sala operativa in quanto era previsto il passaggio di tre treni: uno di linea, uno di servizio (quello che ha travolto gli operai) e un terzo convoglio all’una e mezza di notte. Per iniziare i lavori l’addetto di Rfi al cantiere avrebbe dovuto ottenere il via libera dal dirigente di Chivasso.

“Bisogna capire se procedere con i lavori senza avere il permesso è una sciagurata scelta delle persone coinvolte o, al contrario, se in questo comportamento possano esserci delle abitudini, delle consuetudini e delle richieste”, ha detto la procuratrice capo di Ivrea, Gabriella Viglione, in merito all’inchiesta

Stando alle registrazioni, la sala operativa avrebbe fornito all’addetto Rfi a Brandizzo delle fasce orarie nel corso delle quali gli operai avrebbero potuto effettuare i lavori, in relazione ai previsti passaggi dei treni. In quella telefonata, a quanto risulta, non viene concesso alcun via libera al cantiere. Quando a mezzanotte, l’addetto Rfi richiama Chivasso per ottenere il nullaosta, il primo treno di linea è già transitato sul binario 1 ed è possibile che sia stato erroneamente scambiato per il secondo che, invece, stava arrivando proprio in quel momento

Chi erano gli operai morti nella strage di Brandizzo

Kevin Laganà, di anni ne aveva 22: buono, solare, «pronto a farsi in quattro per tutti» lo ricordano gli amici di Messina, dov’era nato. Viveva a Vercelli: dopo aver terminato gli studi, nel 2019, aveva subito cominciato a lavorare per la Sigifer. «È sempre stato un grande lavoratore, da quando aveva 18 anni, con un sorriso brillante, educato e con tanta voglia di vivere» lo ricorda la cugina Cinzia, che ieri tra le lacrime ha sfogato il suo dolore davanti ai giornalisti accorsi a Brandizzo. «Non si può morire così, non si può sentir ripetere che ci sono ancora dei pezzi. Come si fa a dire che erano a pezzi, sono persone non puzzle…». Massimo, il padre di Kevin, è un uomo distrutto: «Tu sei la cosa più importante che io abbia nella vita, il miglior padre che si possa avere» gli scriveva tempo fa il giovane in una dedica commovente sui social, nella foto i due stretti in un abbraccio davanti alle montagne innevate.

Michael Zanera, 34 anni, che a Vercelli era nato e viveva da sempre. Il suo post su Tiktok è diventato subito il simbolo della tragedia: «È la prima volta che mi succede, mentre saldo la rotaia mi è uscito il crocifisso – aveva scritto poche ore prima dell’incidente, come in una specie di macabra premonizione, pubblicando la fotografia –. Dio mi vuole dire qualcosa sicuramente, nonostante lo richiamo tutti i giorni ultimamente, perché non è un bel periodo per me». Secondo suo zio, Marco, si riferiva ai problemi sul lavoro, ai turni massacranti, : «Gli piaceva quello che faceva, ma ci siamo sentiti recentemente e mi ha detto che doveva fare la notte. A volte faceva anche il doppio turno, così mi diceva, glielo facevano fare perché doveva recuperare. Ed era un ragazzo in gamba, volenteroso, anche se sapeva che certe cose non andavano bene faceva finta di nulla, si sforzava e andava avanti sul lavoro». Poi la rabbia: «Non è giusto che dei giovani per guadagnare quattro soldi, e dico quattro soldi, facciano una fine così…». Michael lascia sua madre, che era rimasta vedova da un anno, in un oceano di dolore.

Giuseppe Sorvillo, 43 anni, torinese e padre di due bimbi piccoli di sette e nove anni. Abitava con la famiglia in una casa poco distante dal luogo dell’accaduto, insieme alla moglie Daniela, che non si dà pace per quanto successo e si è chiusa nel silenzio. Giuseppe per la Sigifer aveva cominciato a lavorare da appena sei mesi, gli era stato appena rinnovato il contratto a tempo determinato: in paese lo conoscevano tutti perché aveva lavorato a lungo in un supermercato. E poi Giuseppe Aversa, che di anni ne aveva 49: figlio di un artigiano edile di origini calabresi, era nato e aveva trascorso la sua infanzia a Chivasso prima di trasferirsi a Borgo d’Ale. Lui lascia la mamma, la compagna Nicolinka e la sorella, lei pure residente in paese. Infine il più anziano del gruppo, Giuseppe Saverio Lombardo, di 53 anni: originario di Marsala, nel 2001 si era trasferito a Vercelli per lavorare alla Sigifer. Anche lui lascia moglie e un figlio.