Nel corso degli anni, Mirella Gregori è stata definita dai media come “l’altra Emanuela” ma c’è davvero un legame tra la scomparsa delle due ragazze? “Io non ho risposte, non ho un solo elemento a cui appigliarmi. Solo tante ipotesi”, chiarisce Maria Antonietta, l’unica familiare rimasta in vita a cercare Mirella. Il primo elemento che ha incatenato il destino delle due ragazze è stato il Komunicato I, arrivato nella redazione Ansa di Milano da parte del Turkesh, il fronte turco anticristiano, il 4 agosto del 1983, tre mesi dopo, che in cambio delle ragazze chiedeva la liberazione dell’attentatore del Papa Alì Agca. Salvo poi smentite, da parte di un funzionario della Stasi Gunther Bonsack che parlò di un grottesco depistaggio denominato “operazione Papa”, per distogliere l’attenzione dai servizi sovietici negli anni della Guerra Fredda. Poco dopo, era settembre, quando al bar “Coppa d’oro” dei Gregori arrivò una telefonata da parte di presunti rapitori. “Maglieria Antonia, jeans Redin con cintura, maglietta intima di lana, scarpe con il tacco di colore nero lucido marca Saroyan di Roma”: era l’elenco degli indumenti, biancheria compresa, indossati da Mirella il giorno della scomparsa. Poi, più nulla. Un silenzio ancora impossibile da squarciare. “Ci siamo sempre chiesti chi ci fosse dall’altra parte del telefono, come avesse fatto a sapere quali indumenti indossasse. Non è detto avesse in mano Mirella, in quegli ambienti non è difficile reperire un certo tipo di informazioni. Poteva essere chiunque, ma non ho prove né notizie e dopo 40 anni stiamo ancora persi nel buio”, spiega Maria Antonietta.
Chi era Mirella Gregori e il legame con Emanuela Orlandi
Mirella Gregori nasce a Roma il 7 ottobre del 1967. I suoi genitori sono titolari di un bar in via Volturno, mentre lei vive in via Nomentana. Frequenta l’istituto tecnico Amerigo Vespucci in via Montebello ed è molto amica di Sonia De Vito, più grande di lei: i suoi hanno un altro bar proprio sulla Nomentana a pochi passi dal cancello di casa di Mirella. Il 7 maggio 1983 torna da scuola verso le 14 e in casa c’è sua madre, Maria Vittoria Arzenton. Suona il citofono e lei pensa che sia il marito Paolo che torna dal bar, adesso gestito dalla sorella Antonietta e dal fidanzato Filippo Mercurio, che vive con loro. Invece poco prima delle 15 c’è qualcuno che cerca Mirella e gli parla. La madre sente che la figlia prima dice «Chi è? Non ho capito chi parla». E subito dopo: «Se non mi dici chi sei, attacco subito eh!». Infine: «Ah, sì Alessandro, ho capito». Poi l’appuntamento: «Va bene, ci vediamo tra qualche minuto alla scalinata del bersagliere a Porta Pia». A quel punto Mirella va dalla madre e le dice: «Mamma era Alessandro, te lo ricordi il mio compagno di scuola delle medie? Mi ha chiesto se possiamo vederci per fare due chiacchiere. Scendo e tra poco torno». La 15enne si mette una maglietta, si pettina ma non prende né borsa né giacca.
Emanuela Orlandi sparì esattamente 40 giorni dopo Mirella. Gli inquirenti non hanno mai abbandonato l’ipotesi di un legame tra le due sparizioni, sia per la congiuntura temporale che per le similitudini tra le vittime oltre che per due missive inviate subito dopo la sparizione della Orlandi. Nella prima, firmata da un sedicente Fronte liberazione turco anticristiano – Turkesh, si parlava di Mirella a proposito delle condizioni per la liberazione di Emanuela Orlandi. La seconda, una rivendicazione che giunse all’allora giudice istruttore Ilario Martella che indagava sul caso Orlandi. La lettera, conservata dall’ex giudice, rivendicava sia il rapimento della Orlandi che quello di Mirella. Ma furono le due famiglie a supporre per prime che le due sparizioni fossero collegate, tanto che la famiglia Orlandi assunse come proprio portavoce e legale lo stesso avvocato.
Anche la Procura di Roma sin dall’inizio aprì un fascicolo unico sul caso delle due scomparse. Cosa ha spinto tutti a pensare che dietro le due sparizioni ci fosse la stessa mano? Il Corriere ricostruisce che nei mesi successivi alla scomparsa alle famiglie, al Vaticano e ai giornali arrivò una oscura richiesta di scambio. Emanuela e Mirella sarebbero state liberate a patto che venisse scarcerato Alì Agca, il killer turco condannato all’ergastolo per l’attentato contro Wojtyla compiuto due anni prima (13 maggio 1981). Qui il primo punto di congiunzione: i rapitori sembravano essere gli stessi, apparsi via via sotto mutate sembianze (“Pierluigi” e “Mario”, l’Amerikano, il Fronte Turkesh, il gruppo da Boston, tutti legati – attenzione – dalla conoscenza di dettagli non noti delle ragazze, oltre che da perizie grafiche e dall’esame delle voci), ad abbinare i due casi di scomparsa.
Poi c’è il muro di reticenze mai spiegato da parte delle amiche di Emanuela e Mirella. Prima di sparire le amiche delle due diventarono loro malgrado depositarie di segreti che hanno cambiato la loro vita. Emanuela confidò a Raffaella, compagna della scuola di musica di Sant’Apollinare, e che fu l’ultima a vederla, di aver ricevuto una proposta per la ditta Avon, 375 mila lire in un pomeriggio, per distribuire volantini nella Sala Borromini a una sfilata delle Sorelle Fontana. In realtà non c’era nessuna sfilata, forse un codice per i rapitori per trasmettersi informazioni dopo che la ragazza fosse stata rapita. Raffaella, prima e dopo il 22 giugno, fu pedinata, minacciata, fotografata per strada e ne rimase profondamente turbata. I genitori, per proteggerla, la trasferirono in Nord Italia.
Stessa situazione per Sonia, l’amica di Mirella figlia del titolare del bar di via Nomentana, sotto casa Gregori, frequentato da quel gendarme vaticano, Raoul Bonarelli, che venne indagato dalla Procura e poi prosciolto dopo che la mamma di Mirella, in un “faccia a faccia” tenuto nel 1993, non riconobbe in lui l’uomo della sicurezza notato vicino al Papa in visita nel 1985 alla parrocchia di quartiere. Ebbene, fu Sonia a indirizzare le prime ricerche (“Sarà andata a Villa Torlonia a suonare la chitarra”) in senso opposto rispetto al luogo detto da Mirella alla madre (“vado a Porta Pia”). “Pur essendo la sua più cara amica, da quel giorno non si è fatta più vedere, dandoci un grande dolore”, ha raccontato Maria Antonietta, la sorella maggiore. Il Corriere cita un documento riservato dl Sisde tirato in ballo dal giornalista Tommaso Nelli che attribuisce a Sonia una frase riferibile al frequentatore del bar: “Certo, lui ci conosceva, contrariamente a noi che non lo conoscevamo… Come ha preso Mirella, poteva prendere me…”.
Lo scrittore Mauro Valentini, in passato già consigliere dell’associazione Penelope Italia, impegnata nei casi di persone scomparse, chiede anche lui verità e giustizia per Mirella Gregori a cui ha dedicato un libro, “Cronaca di una scomparsa”, con una ricostruzione dettagliata della storia, e delle indagini. “La mia ipotesi – dichiara a FqMagazine – è che Mirella si sia fidata di chi l’aspettava all’appuntamento a Porta Pia. Non è stato un rapimento ma una trappola. Credo che, se avesse potuto, avrebbe avvisato ma quel pomeriggio è successo qualcosa che l’ha strappata per sempre ai suoi affetti. Le ipotesi sono tante. Mirella, oggi, avrebbe la mia età. Bisogna considerare che in quegli anni, per stare insieme noi ragazzi ci riunivamo in parrocchia o in casa. E a volte, purtroppo, la cronaca ci insegna che certe feste finivano male. Ma sono tutte soltanto ipotesi. Chiunque avesse fatto del male a Mirella ha avuto un ampio vantaggio, segnato dalle indagini tardive sulla sua scomparsa”. “Spero che la procura italiana apra un’inchiesta – conclude Maria Antonietta – per fare luce solo su Mirella Gregori. Merita anche lei giustizia”.