“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli” diceva Umberto Eco. E nelle ultime ore i social hanno dato il peggio: ecco la storia di Giovanna Pedretti.
Chi era Giovanna Pedretti
Giovanna Pedretti aveva 59 anni, viveva a Sant’Angelo Lodigiano. La sua risposta alla recensione omofoba aveva fatto il giro del web in poche ore. “Mi hanno messo a fianco di gay e disabili”. E lei aveva risposto al cliente, cortesemente, dicendo di non tornare. A una risposta così non si può che tessere le lodi. Eppure, come spesso accade, sono arrivati gli increduli. E Selvaggia Lucarelli, nota scovatrice di truffe, ha subito messo in dubbio la veridicità delle parole della signora Giovanna. Non solo lei, ma anche il compagno Lorenzo Bigiarelli, professione chef, questa recensione non l’ha proprio digerita. Ha così pubblicato un lungo post in cui affermava di aver telefonato al suo locale per chiedere informazioni sulla veridicità della recensione. E non solo: soddisfatto, riferisce l’incertezza della signora Giovanna, che “forse”, a detta sua, era vittima di un tranello.
Il caso “mediatico” e il “clamore della stampa” di cui parlano l’opinionista e lo chef si è probabilmente fermato al Tg3 di qualche sera fa. Questo perché, in realtà, la povera signora Giovanna ha dovuto leggere commenti intrisi di odio e accuse, su una recensione che, anche se fosse falsa, non ha mai fatto nomi e cognomi di nessuno. Anzi, pure nell’eventuale ipotesi che una signora di 59 anni sia una maga di Photoshop e riesca a creare una falsa recensione (sia Tripadvisor che Google permettono di modificare e cancellare le recensioni), avrebbe comunque avuto accortezza di cancellare il nome del cliente.
L’ipotesi di suicidio
Accortezza che invece allo chef e all’opinionista manca: lui, che si è preso la briga di telefonare alla signora Giovanna, difende a spada tratta la sua teoria, dipingendola come una truffatrice e analizzando con minuziosità addirittura il font di Google. E nel frattempo, i commenti di odio sui social crescono, la credibilità della signora viene messa in discussione. Senza dimenticare i messaggi privati, di cui non conosciamo il contenuto, ma che non dovevano essere sicuramente tutti intrisi d’amore.
E proprio ai microfoni del Tg3 la povera signora Giovanna, letteralmente messa al muro, si arrende a un “non lo so”. Perché questo confutare di accenti, lettere diverse, l’aveva sfiancata. E ieri sera, la povera signora Giovanna, è morta. Ritrovata, morta, vicino a un fiume. Giovanna non c’è più. Giovanna non ha retto, ma noi non lo sappiamo. Ed è parecchio strano che una donna di mezza età, titolare di una pizzeria in un paese di poco più di 13mila abitanti, avesse bisogno di fama e celebrità mediatica. In ogni caso, la pesantissima operazione di “debunking”, come l’ha definita la Lucarelli, si è conclusa così. Perché Giovanna Pedretti non potrà più parlare.
L’odio social: facciamone a meno
Da definizione, un hater è una “persona che usa la rete, e in particolare i social network, per esprimere odio o per incitare all’odio verso qualcuno o qualcosa“. E non è la prima volta, che l’odio social si dimostra causa di dolore. Gli episodi che molto spesso riteniamo isolati o lontani da noi non lo sono. Bullismo e cyber bullismo non sono argomenti da scuola media. Accadono costantemente, in ogni fascia di età. Gli schermi di cellulari e computer non sono una corazza, anzi. Basti pensare all’artista serba Marina Abramović, con la sua performance Rhytm 0 del 1973, che si è esposta davanti a un tavolo di oggetti. Gli spettatori avevano piena libertà nell’utilizzo di questi strumenti. E se, nelle prime tre ore, è andato tutto bene, quando un visitatore ha preso in mano la pistola, il pubblico si è diviso. Chi la difendeva e chi, invece, voleva l’odio. E se non fosse stato per le guardie del museo, qualcuno l’avrebbe sparata.
La Abramović metteva alla prova il libero arbitrio. Che ci dimostra che il vero collante di questa società è l’odio. Perché è più facile odiare che comprendere. È più facile insultare Chiara Ferragni sotto un suo post, sovrapponendosi alla magistratura e alla giustizia. Perché di questo hanno sete i social: di sentenze. E se neanche di fronte alla morte arriva il rispetto, se la violenza si dilaga anche nei mondi alternativi, dobbiamo fermarci tutti quanti. Spegnere più i social e praticare la gentilezza. L’empatia è e deve essere il motore del mondo. Giovanna poteva essere nostra madre, nostra nonna, nostra sorella. E non meritava di morire: nessuna inchiesta o “debunking” vale una vita umana.
Marianna Soru
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