La tendenza all’oversharing sta acuendo sempre di più un fenomeno noto come Narcisismo digitale; le moderne tecnologie, e la necessità di esser sempre iper-connessi in qualsiasi situazione, hanno contribuito all’eccessiva esigenza di aver bisogno di attenzioni digitalizzate come like, commenti e notifiche su uno smartphone che, tuttavia, celano qualcosa di più oscuro: la non corrispondenza con la realtà.
Narcisismo digitale e culturale, l’era dell’auto-celebrazione
Il termine narcisismo origina da uno dei più celebri miti greci, quello di Narciso, le cui versioni più accreditate sono contenute ne Le Metamorfosi di Ovidio e nel trattato geo-storeografico Periegesi della Grecia di Pausania. Narciso aveva rifiutato l’amore della ninfa Eco e per punizione, come accade nella mitologia greca classica, il suo destino diventa quello di innamorarsi della sua stessa immagine riflessa nell’acqua; ma scoprendo di non poter mai raggiungere quell’amore a cui anela, si strugge dal dolore e muore. Quando le Naiadi e le Driadi, ninfe dei boschi, si accingono per prelevare il corpo del giovane e deporlo trovano un bellissimo fiore: il narciso. Il lemma è utilizzato in psicologia sia per descrivere un sano amor proprio sia per sottolineare un’ iper-valutazione di sé stessi caratterizzata da un insano egocentrismo la cui causa si radica in un disturbo del senso del sé.
Nel tempo è stata coniata un’ulteriore espressione, Narcisismo digitale; un fenomeno che sembra essere sempre più dilagante con l’avvento dei social network, dovuto anche all’oversharing compulsivo. Pare, fra le altre cose, che le persone affette da narcisismo abbiano una particolare preponderanza a sviluppare una dipendenza da internet. Nel libro Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinico integrato del disturbo narcisistico di personalità, Edoardo Giusti e Laura Rapanà scrivono:
“Il mondo virtuale diventa un’irresistibile tentazione per esprimere la propria onnipotenza”.
Edoardo Giusti, Laura Rapanà, Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinico integrato del disturbo narcisistico di personalità, Sovera, 2011, p. 149
In un’epoca in cui prospera il surplus di auto-referenzialità, il mondo virtuale diventa terreno fertile in cui coltivare egotismi; d’altronde, ne parlava già lo scrittore francese Stendhal in Souvenirs d’égotisme scritto nel 1832. L’apparire costante e lo smoderato culto della propria personalità attestato attraverso il social che diventa mezzo chiave per la diffusione di immagini, foto e video del soggetto acuisce esponenzialmente la brama di esibizione.
Il narcisismo culturale e l’immagine ideale attraverso i social: un parallelismo con il comportamentismo di Skinner
Christopher Lasch, nel libro The culture of narcissism (1978), conia per la prima volta l’espressione ”Narcisismo culturale”. Secondo il sociologo è la società stessa a indurre le persone a preoccuparsi eccessivamente e in modo ansioso dell’impressione che si può dare all’altro di sé stessi, finendo per ricercare – e creare – delle gratificazioni narcisistiche. Diventa impellente il bisogno di uscire da una sorta di anonimato sociale esponendo sé stessi in una micro-realtà ideale; la versione migliore di sé viene, quindi, propagata attraverso il mezzo social in una dimensione controllata in modo scrupoloso e che, successivamente, è appagata attraverso stimoli positivi come i ”mi piace”.
I social Network, in questo senso, diventano una sorta di ”Skinner Box”; uno dei più famosi strumenti sperimentali del ‘900 che serviva a indagare il comportamento umano, ideata dallo psicologo comportamentista Burrhus Frederic Skinner padre del paradigma del “condizionamento operante”.Il soggetto che si ritrova nella condizione definita dal narcisismo digitale, tende a pubblicare in modo compulsivo informazioni, immagini, video e lo scopo è ottenere una sorta di ricompensa, che in questo caso è di tipo sociale, come l’apprezzamento e il nutrimento del proprio ego.
Negli anni i media sono cambiati: se prima servivano per intrattenere o comunicare, adesso il fenomeno ”esposizione in vetrina” ha preso il sopravvento; la comunicazione virtuale, spesso, si basa esclusivamente su contenuti auto-celebrativi e il social diventa il mezzo per auto-affermarsi e tentare di uscire dall’anonimato, ma soprattutto per coltivare il proprio ego raccogliendo consensi, seppur effimeri e aleatori come tutto ciò che è virtuale e che si basa sulla non concretezza di intenti. Il problema sorge quando l’euforia prodotta dall’apprezzamento social, e che procura benessere a chi rientra nel narcisismo digitale, diventa una dipendenza; tanto da ricercarla in modo costante e arrivando a diventare fulcro centrale delle proprie giornate.
Narcisismo digitale, la mancanza di naturalezza nel mondo virtuale
Il narcisismo digitale cela, nelle pieghe di una realtà alterata e irrealistica, anche una dietrologia preoccupante: la rigidità comportamentale che si traduce in una mancanza di naturalezza del soggetto iper-connesso. Questo significa che l’oversharing induce a una ricerca di attenzioni sempre più smisurata, a dare importanza in modo massiccio all’aspetto fisico, a una mancanza di empatia e alla non accettazione delle critiche. Il soggetto che pratica questa modalità, spesso, cela un senso di insicurezza interiore molto forte, oltre che un’autostima instabile, ma soprattutto riconosce l’altro in modo superficiale. Quello che teme di più, infatti, è la privazione dello stimolo positivo che riceve: la paura è di non essere più ammirato e sparire. L’altro è utile perché accresce il proprio ego attraverso like e commenti; il rapporto strumentale che ne consegue conferma anche il contatto superficiale che il narcisista digitale ha con l’altro nel mondo digitalizzato.
Un sempre più crescente utilizzo dei social network e della Rete, secondo molti, incoraggia lo sviluppo della cultura narcisistica, nella quale l’apparire diviene più importante dell’essere. L’esibizione di identità artefatte e seducenti, ottenute grazie a foto ritoccate per essere più “belli” e “trendy”, il numero di contatti stimato secondo un quoziente numerico QDOS, la necessità di un confronto continuo per ottenere approvazione e conferme, portano i blogger e gli internauti di oggi a sviluppare la SND (Sindrome Narcisistica Digitale). Nella sindrome l’interesse principale è ottenere la “web attenzione” ed apparire seducenti ed affascinanti al fine di soddisfare un proprio bisogno di riconoscimento e superiorità. Assistiamo così ad una sovrapposizione della Real Life con la Virtual Life con la nascita di una vera e propria dipendenza denominata Interent Addiction (IA) che, mentre in origine interessava una specifica tipologia di individui socialmente emarginati, oggi crediamo includa anche altri profili psicologici
Cantelmi T., Talli M. (2012). Condotte tecno additive nell’era del narcisismo digitale, ”Formazione Psichiatrica e Scienze Umane”, periodico quadrimestrale Anno XXXIII n.2-3- Maggio – Dicembre 2012.
Mettersi in mostra in uno spazio virtuale, seppur in modo minuziosamente controllato e innaturale, significa propendere verso un’affermazione che i soggetti che sperimentano questa condizione sentono particolarmente: si esiste solo se si è visti, e quindi ”riconosciuti”. Esistono anche delle patologie legate all’iper-connessione: la FOMO, ovvero la paura di esser tagliati fuori da eventi importanti ed essere esclusi; ma anche la Nomofobia, il timore di rimanere senza telefono o senza connessione internet che occulta, quindi, una dipendenza da smartphone.
Una ”società-spettacolo” che si nutre di voyeurismo social e arriva a sostituire la vita reale, fatta di imperfezione, con una esistenza infiocchettata, limata idealmente, ma non realistica. Il web è lo spazio dove fiorisce l’apparire a discapito dell’essere. Il selfie è diventato per la società moderna digitalizzata ciò che l’acqua era per Narciso, o per spiegare il tessuto sociale odierno con le parole dello psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli:
”La società dell’inutile trionfa alla fine di un processo folle che ha spinto l’industria a produrre beni superflui, come se lo scopo dell’uomo non fosse di essere e vivere in una società giusta, bensì quello di apparire; ed è proprio su questa esigenza che si fonda il grande dogma della contemporaneità: si ha successo se si appare”.
Vittorino Andreoli, L’educazione (im)possibile, 2014
Stella Grillo
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