Hamas si sta indebolendo, le Forze di difesa israeliane stanno guadagnando terreno giorno dopo giorno e ”smantellando in modo metodico” l’organizzazione che governa la Striscia di Gaza. Ma per raggiungere l’obiettivo che si è posto il gabinetto di guerra di Israele di ”distruggere Hamas”, che per gli israeliani è considerato ”l’unico modo per preservare la nostra esistenza”, ci vorrà ”molto tempo”, ci vorranno ”anni” e ”la battaglia sarà molto lunga”. Per cui è ”inutile stare con il cronometro alla mano”, a chiedersi quando finirà la guerra a Gaza, ”cosa sta succedendo?”. Anche perché, spiega il colonnello riservista Gabi Siboni, membro senior del Jerusalem Institute for Strategy and Security, Hamas ha costruito la base terroristica più fortificata del mondo, sopra e sotto terra. Inoltre Hamas è ”un nemico determinato e non è pronto ad arrendersi”, ha detto l’ex ufficiale dell’Idf all’agenzia di stampa israeliana Tazpit, sostenendo che un numero significativo di civili di Gaza sono coinvolti ”in tutti i modi e metodi” nella macchina da guerra di Hamas. Ma il rischio, secondo quanto ha detto l’ex capo dello Shin Bet Ami Ayalon a ‘Le Monde’, è quello di ”una guerra senza fine” in nome della ”sicurezza a discapito dei diritti umani di una minoranza”. Una guerra in cui deve essere chiaro che ”un’organizzazione terroristica non alzerà mai bandiera bianca” e che ”il dopo sarà molto complesso.

L’esercito israeliano è in grado di smantellare le capacità militari di Hamas e annientarne la leadership, ma poi?” si chiede Ayalon.  L’analista riflette sul fatto che ”in assenza di obiettivi politici, la guerra diventa fine a se stessa e non il mezzo per raggiungere un fine. Quando la guerra diventa fine a se stessa, si trasforma in una guerra senza fine. Se non si riescono a sviluppare progetti politici, non si è in grado di definire cosa possa essere la vittoria”. Intanto il colonnello riservista Moshe Elad dell’Idf, uno dei fondatori del Cogat e docente presso il Western Galilee College nel nord di Israele, ha confermato a Tazpit che l’esercito ha chiesto più tempo per l’operazione perché è rimasto sorpreso dalle dimensioni dei tunnel costruiti da Hamas. ”Ci vorranno almeno sei mesi” solo per mappare la rete di tunnel. Altro elemento che rischia di allungare le operazioni militari è il fatto che Hamas non riconosca il diritto internazionale e che quindi crea una ”asimmetria” e una necessità di ”proteggersi di più” afferma Elad.  Ma se Israele mettesse fine alla guerra prima che Hamas venisse sconfitto, secondo Elad sarebbe un segnale di debolezza che risulterebbe fatale nella regione. ”Dobbiamo riabilitare la deterrenza regionale” e ”non c’è altra scelta”, per cui ”tutto il resto dovrà aspettare”, anche ”la questione degli ostaggi che è molto difficile”.

Ci sarebbero gravi problemi di sicurezza per Israele, secondo Elad, se si mettesse fine ai combattimenti per ottenere il rilascio degli ostaggi. Intanto l’Idf ha iniziato a diminuire i riservisti destinati all’operazione di terra nella Striscia di Gaza e sta riducendo il personale coinvolto nell’operazione, ma le complicazioni nel cammino verso l’obiettivo sono tante e diverse. A partire dal fatto che, sostiene Siboni, Hamas ha nascosto armi e munizioni non solo nei tunnel sotterrai, ma anche nelle abitazioni civile. E poi perché, oltre alla Striscia di Gaza, la risposta israeliana deve tenere in considerazione altre aree, come possono essere il Libano o la Cisgiordania. Qui, ricorda Siboni, ”stiamo combattendo da 20 anni e continueremo a combattere”, così come ”continueremo a combattere a Gaza per smantellare le capacità” di Hamas e ”colpendo i covi terroristici” con un occhio alla prevenzione. In questo contesto ”è molto importante la collaborazione con l’Egitto che ha gli stessi interessi” ed è proprio al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto che si stanno elaborando misure di prevenzione per evitare l’accumulo e il trasferimento di armi.