Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, potrà ancora fare appello contro la sua estradizione negli Stati Uniti. Assange si trova in carcere nel Regno Unito da cinque anni, ed è accusato negli Stati Uniti di violazione dell’Espionage Act, una legge contro gli atti di spionaggio, per cui rischia fino a 175 anni di carcere. Martedì due giudici dell’Alta Corte di Londra hanno stabilito che gli Stati Uniti avranno tre settimane per fornire garanzie che, una volta negli Stati Uniti, Assange potrà godere del Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che tutela la libertà di espressione, e che non avrà trattamenti diversi, visto che è un cittadino australiano. L’Alta Corte ha anche chiesto che, in caso di condanna, la pena non sia una condanna a morte.

«Se non ci saranno queste garanzie», dice un estratto della decisione dei giudici citato da BBC News, allora a Julian Assange «verrà concessa la facoltà di fare appello e quindi ci sarà un’udienza per l’appello».

L’Alta Corte di Londra ha infatti dato oggi il via libera all’istanza della difesa del giornalista australiano e cofondatore di WikiLeaks – respinta in primo grado – per un ulteriore, estremo appello di fronte alla giustizia britannica contro la consegna alle autorità d’oltre Oceano. 

I giudici di secondo grado, Victoria Sharp e Adam Johnson, hanno fissato il nuovo appello per maggio giudicando non infondate le argomentazioni della difesa sui timori per la vita di Assange.

Se la Corte accetterà la sua richiesta di appello, comincerà un nuovo processo nel Regno Unito, mentre se la rigetterà Assange potrebbe in teoria fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, cosa che metterebbe in pausa il processo di estradizione. Martedì i giudici dell’Alta Corte hanno anche detto che il prossimo 20 maggio ci sarà un’udienza per stabilire se gli Stati Uniti avranno soddisfatto le richieste.

A meno che nelle prossime tre settimane le autorità americane e britanniche non siano in grado di produrre “rassicurazioni” ulteriori e più affidabili in materia, come si legge nel dispositivo. Rassicurazioni riguardanti il trattamento da parte della giustizia Usa, e quindi la possibilità da parte del cofondatore di Wikileaks di potersi appellare al Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti sulla tutela della libertà di espressione oltre alla garanzia di non venire condannato a morte. Se fosse stato confermato il ‘no’ di primo grado, invece, per Assange sarebbe scattato il termine massimo di 28 giorni per l’estradizione effettiva negli Usa, anche in presenza di un tentativo di ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. I giudici dell’Alta Corte si sono presi più di un mese, dopo i due giorni di udienza in febbraio, per considerare le argomentazioni dei legali dell’attivista australiano, incentrate sull’idea di “una persecuzione contro la legittima attività giornalistica” e il rischio di una serie di diritti negati davanti alla giustizia americana con l’incubo di una condanna ‘monstre’ di 175 anni di carcere, e quelle delle autorità statunitensi, decise a perseguire chi a loro avviso è andato “oltre i limiti del giornalismo”.

Julian Assange era stato incriminato nel maggio del 2019 dagli Stati Uniti, che lo accusano di aver violato i siti del suo governo e di aver divulgato documenti contenenti i registri delle guerre in Afghanistan e Iraq, oltre che comunicazioni diplomatiche del 2010. Nel gennaio del 2021 il tribunale penale di Londra aveva rifiutato la richiesta di estradizione nel paese, citando le condizioni di salute di Assange, che soffriva di depressione e che secondo gli psichiatri che lo avevano visitato in carcere aveva tendenze suicide. Nel giugno del 2022, dopo altri ricorsi, la ministra dell’Interno britannica Priti Patel aveva infine approvato la sua estradizione, dandogli però possibilità di fare ricorso.

Servirà però ancora tempo per conoscere la sorte del cofondatore di WikiLeaks e modello antagonista di giornalismo online: divenuto una sorta di nemico pubblico numero uno a Washington per essersi permesso di divulgare, a partire dal 2010, circa 700.000 documenti riservati – autentici e non privi di rivelazioni imbarazzanti, anche su crimini di guerra commessi fra Iraq e Afghanistan – sottratti al Pentagono o al Dipartimento di Stato. Ma già ora Assange appare duramente provato: il mese scorso non solo non era riuscito a presenziare di persona alle udienze all’Alta Corte, ma anche ad assistervi in videocollegamento a causa dell’aggravamento di condizioni di salute sempre più precarie dopo quasi 5 anni di reclusione preventiva nel tetro carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh, seguiti ai sette da rifugiato nella clausura murata di una stanza dell’ambasciata dell’Ecuador nella capitale britannica. E stando alle dichiarazioni recenti della moglie Stella, l’attivista non riuscirebbe a sopravvivere alle condizioni di detenzione in una cella americana. Nei giorni scorsi era circolata la voce di un possibile patteggiamento offerto da Washington ad Assange, incentrato su una dichiarazione di colpevolezza da parte del giornalista per un reato meno grave. Si era detto che l’eventuale intesa gli poteva evitare l’estradizione negli Usa, spianandogli la strada verso la liberta’, ma al momento non si è concretizzata.