I lettori più appassionati conoscono bene la scarica di adrenalina che un buon romanzo può provocare: sentirsi afferrati e trascinati nell’intreccio, il graduale affezionarsi a questo o quel personaggio, l’inchiostro che, dalla pagina, sembra finire sotto l’epidermide, quando una frase tocca qualcosa dentro di noi. Tuffarsi in un libro e lasciarsi avviluppare da esso è un’esperienza totalizzante e immersiva, che può assorbire completamente la nostra attenzione, e diventare un vero e proprio chiodo fisso…fino all’ultima pagina.
Così come i primi capitoli sono stati l’esca in grado di catturare l’attenzione, quel punto finale diventa una sorta di pulsante di espulsione. Da un momento all’altro ci si sente catapultati, di nuovo, nel mondo reale, dopo giorni trascorsi in un universo parallelo spesso più elettrizzante della vita vera. Questo brusco risveglio, com’è facile immaginare, causa uno stordimento che può trascinarsi anche per giorni. Chi non l’ha provato al termine della saga di Harry Potter o di un best seller come La canzone di Achille? Gli esperti hanno denominato tale fenomeno Post Book Blues o Book Hangover.
Post Book Blues: in cosa consiste
Quando si legge un libro appassionante, si tende ad isolarsi e divorare pagine. Cosa succederà a Jane Eyre o al Conte di Montecristo? Bisogna scoprirlo. Più ci si avvicina alla fine, però, più una vocina inizia a farsi largo nella nostra mente: «e quando sarà finito?». Inizia, così, il dissidio. Da una parte, non vediamo l’ora di conoscere l’epilogo, dall’altra temiamo quel momento. Alcuni, dunque, iniziano a centellinare i capitoli rimasti, imponendosi di rallentare il ritmo. I più, però, continuano, desiderosi di scoprire. Così, in un modo o nell’altro, si arriva al famigerato “the end”; ed è allora che inizia la malinconia. Il Book Hangover è, letteralmente, una sbornia letteraria. Come quando ci si risveglia dopo una serata ad alto tasso alcolico e non si sa con certezza se a girare sia la testa o la camera da letto, così il forzato ritorno all’amara quotidianità lascia svuotato il povero lettore, sedotto e abbandonato dalla penna di uno scrittore.
Diverse persone applicano la tecnica del “chiodo scaccia chiodo”: via di corsa in libreria, per fare nuovi acquisti. Altre, invece, si crogiolano nella nostalgia dell’avventura finita, e si prendono del tempo per elaborare. Il risultato, in ogni caso, è la percezione di un vuoto nello stomaco, paragonabile a quello che proviamo dopo un concerto che stavamo aspettando da mesi, o la fine di un viaggio desiderato da anni. Una sorta di jet lag post lettura, che disorienta e intristisce, lasciandoci addosso un senso di perdita difficile da scacciare via.
Evolvere emotivamente grazie al Book Hangover
Come sconfiggere questo vuoto interiore? Purtroppo, non si può. Il “patto di verosimiglianza” tra noi e l’autore termina insieme all’opera, che torna ad essere un oggetto inanimato, e questo provoca sentimenti contrastanti. Alla stregua di una relazione finita, è comunque necessario percorrere tutte le fasi del lutto, dalla negazione in poi, fino all’accettazione che ci permette di lasciar andare quei personaggi, amati quasi come amici in carne e ossa. Piuttosto, è interessante capire quali siano i risvolti psicologici legati all’attaccamento verso un libro che ci è “entrato dentro”. La connessione che si crea con un romanzo, in effetti, racconta molto della nostra emotività. Quando delle parole scavano nei nostri cuori o fanno affiorare cose nascoste nel nostro inconscio, vuol dire che hanno pizzicato le corde giuste. Una vicenda che finisce sottopelle e che s’impossessa di noi, tanto da rovinarci l’umore alla sua conclusione, è probabilmente legata a parti della nostra psiche che non sempre conosciamo appieno.
Da questo punto di vista, dunque, il post book blues è un’ottima occasione per comprendere qualcosina in più su noi stessi. Entrare in empatia con questo o quel personaggio, immedesimarsi nelle sue gioie e dolori al punto di vivere la fine del libro come un lutto, scopre quelle ferite spesso ignorate o tenute nascoste. Si può, in tal modo, comprendere quali siano gli aspetti che risuonano in noi, e poi lavorarci su. Imparare a colmare il vuoto lasciato da un film, un romanzo, una serie o un evento a lungo atteso, senza però ignorare il malessere che ne deriva, è una grande opportunità di crescita personale. “Attraversare” la tristezza, il malinconico distacco da ciò che era diventato un momentaneo punto di riferimento per noi può fare molto male. Alla fine, però, restano i ricordi di quanto provato durante la lettura, e la sensazione che quella storia, ormai, ci abiti. Una volta terminata ci si sente impoveriti ma, in realtà, siamo tutti un po’ più ricchi.
Federica Checchia
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