Il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco e, ogni giorno, la vita fornisce nuovi esempi a riguardo. Nel caso in cui occorra un’ulteriore conferma, ci si può soffermare su un duo inedito e al quale, in tutta onestà, nessuno avrebbe mai potuto pensare: Freddie Mercury e Pier Paolo Pasolini. Nessuno dei due ha bisogno di presentazioni; il mondo intero ama la discografia dell’inimitabile frontman dei Queen, e tutta l’Italia conosce e apprezza la produzione letteraria dello scrittore e regista emiliano. In apparenza, i due non potrebbero essere più distanti, sia per età, che per provenienza. PPP è nato a Bologna nel 1922 ed è scomparso nel 1975, brutalmente assassinato. Farrokh Bulsara, invece, è venuto al mondo nel 1946 a Zanzibar, per poi spegnersi nel 1991, stroncato da complicazioni dovute all’AIDS.

Due rette parallele che sembrano non avere niente in comune e che, in effetti, non si sono mai incontrate. Eppure, al di là delle differenze anagrafiche e artistiche, la rockstar e il drammaturgo condividono esperienze e difficoltà, legate soprattutto al loro orientamento sessuale. Entrambi più o meno dichiaratamente omosessuali in un’epoca in cui inclusività e accoglienza erano solo vocaboli qualunque da cercare sul dizionario, si sono sempre ritrovati, loro malgrado, sotto i riflettori dell’opinione pubblica, giudicati e bistrattati per una sfera privata gettata in pasto ai detrattori da stampa e falsi amici. Pasolini ha subito più di un processo per corruzione di minore e per atti osceni. Il cantautore britannico, invece, è finito diverse volte nell’occhio del ciclone per il suo stile di vita, ritenuto eccessivo. Vien da sé, dunque, che essere sottoposti a un simile trattamento da parte della collettività non abbia lasciato nessuno dei due indifferente. Fortunatamente la loro Arte, per quanto possibile, ha rappresentato un porto sicuro nel quale rifugiarsi durante la burrasca.

Freddie Mercury, Pier Paolo Pasolini e l’amore materno

Freddie Mercury Pasolini
L’autore e regista Pier Paolo Pasolini, collegato a Freddie Mercury dalla ricerca dell’amore di una madre nei periodi bui

Mother Love, composta nel 1991 insieme all’amico Brian May, vanta una triste fama. Si tratta, infatti, dell’ultima performance vocale del leader dei Queen, nonché l’ultima canzone scritta dalla coppia Mercury-May. Un congedo artistico e umano dal retrogusto di addio, in cui il cantante, ormai minato nel corpo e nello spirito, trova riparo nella forma più pura d’amore: quello materno. Nostalgia, malinconia e pena si fondono in attesa di una fine inevitabile, abbandonato e al tempo stesso perseguitato da critici, produttori e persone che, fino a poco tempo prima, lo avevano esaltato. Vittima di un sistema superficiale che non lascia spazio alla fragilità di un uomo, sbattuto sul banco degli imputati senza aver commesso alcun crimine. E allora Freddie saluta tutti e si ritira nella sua solitudine, alla ricerca di pace, silenzio e del caldo abbraccio di una madre.

Ed è proprio la figura della mamma a rappresentare l’anello di congiunzione tra lui e PPP, in particolare con la poesia Supplica a mia madre, inserito nella prima edizione del libro Poesia in forma di rosa. Il componimento è datato 1962 e, allora, Freddie era appena sedicenne. Non ci sono, quindi, prove lampanti che, in qualche modo, il testo sia arrivato nelle sue mani e sia stato, in qualche modo d’ispirazione. Eppure, i collegamenti tra il brano e la lirica non sono pochi. Supplica a mia madre è un inno alla libertà, ma anche la richiesta d’affetto da parte di un animo tormentato. L’accenno alla sua vita sentimentale è lieve, eppure abbastanza esplicito per essere disapprovato in un decennio in cui l’omosessualità era un tabù. Quella brama di contatto, di fisicità che lo spinge a cercare con insistenza qualcuno che l’appaghi lo fa ardere ma, contemporaneamente, non gli basta; l’ultimo neorealista ha bisogno di una carezza dolce, che lo curi dalle brutture di un mondo che non lo capisce e che lo isola. E quale mano può essere più delicata di quella di colei che lo ha generato?

Mother Love e Supplica a mia madre: i testi a confronto

Mother Love si apre con una dichiarazione forte: «I don’t want to sleep with you». Il rifiuto dell’amore carnale è esasperato, ma esplicativo; in un momento di sconforto ciò che si anela non è il sesso, ma la tenerezza. Come lo stesso Freddie canta, un paio di versi oltre, «All I want is the comfort and care». Tutto ciò che voglio è conforto e cura. Gli fa eco, in Supplica a mia madre, Pasolini: «È difficile dire con parole di figlio/ ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio./ Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,/ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.». Un rapporto viscerale che ha origine dal giorno della nascita e che nessun incontro occasionale, ma anche duraturo, può eguagliare in termini d’intensità.

Mercury sa di non avere più molto tempo a disposizione, e tutto ciò che gli occorre è una tana pronta a dargli asilo: «Out in the city, in the cold world outside/ I don’t want pity, just a safe place to hide/Mama please, let me back inside». Non voglio pietà, ma solo un luogo sicuro dove nascondermi; mamma, per favore, fammi rientrare. Una protezione che, per l’autore e regista bolognese, a volte sconfina in una vera e propria dipendenza: «Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu/ sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù».

Freddie Mercury e Pier Paolo Pasolini, uniti nell’amore e nell’addio

Nell’ultima strofa di Mother Love, il musicista sente di essere vicino alla fine del suo viaggio terreno; soffre, non riesce a dormire, è tormentato dal dolore e dai pensieri. Il solo spiraglio di speranza, per il suo cuore stanco, è la certezza di poter tornare a casa sua, e godere del tepore dell’amore materno. Un’emozione morbida, tenue, ma potente; impossibile venire a patti con la prospettiva di perderla, prima o poi. «Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire», scrive accorato Pasolini, sgomento all’idea che le tiepide mura di casa possano un domani raffreddarsi, private della presenza della donna e domina dal sorriso rassicurante che le accendeva di umanità.

Un filo rosso che neppure il Fato può spezzare, l’unione di una mamma con un figlio. Da una parte, la persona che offre la possibilità di nascere, crescere, vivere; dall’altra, due individui ormai adulti, ma che si riscoprono fanciulli indifesi. Un solo modo per comunicare il groviglio di paura, spossatezza, riconoscenza e dedizione che li agita, l’Arte. Uno dei due la esprime attraverso la voce, l’altro servendosi di carta e penna. Due mondi che divergono nello stile, ma che convergono negli intenti. Due storie che, quasi certamente, non si sono mai intersecate ma, senza neanche saperlo, sono state complementari l’una all’altra. Come già anticipato, non ci sono prove del fatto che il musicista inglese abbia mai letto le opere di PPP. Ad accomunarli è solo la loro emotività, sballottata da angherie e ingiustizie patite. A noi, però, piace immaginare che un giorno un ragazzo sensibile e in difficoltà di nome Farrokh abbia letto i versi di un ex ragazzo sensibile e in difficoltà di nome Pier Paolo, e si sia sentito meno solo.

Federica Checchia

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