Quando si parla di Colazione da Tiffany, l’immaginario collettivo è volto all’unanimità verso la celebre scena iniziale. Holly Golightly, interpretata da una raffinatissima quanto intensa Audrey Hepburn, scende da un taxi che l’ha condotta sulla Fifth Avenue, davanti alle vetrine di Tiffany & Co., paradiso delle signore newyorkesi e non solo. Fasciata da un abito da sera firmato Givenchy, lo sguardo maliconico celato dagli iconici Manhattan di Oliver Goldsmith, osserva i gioielli esposti sorseggiando caffè e addentando una brioche, pensierosa. In sottofondo, le note di Moon River, capolavoro di Henry Mancini e Johnny Mercer.

La famosa sequenza segna l’inizio di una storia d’amore e di un sogno hollywoodiano, nonché di un enorme successo cinematografico, ancora oggi omaggiato e citato dal piccolo e grande schermo e, soprattutto, dal mondo della moda. Eppure, il film del 1961 diretto da Blake Edwards, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Truman Capote del 1958, ha fatto storcere il naso allo scrittore più di una volta. La sceneggiatura, ad opera di George Axelrod, per la quale ha ricevuto una nomination ai Premi Oscar, si discosta infatti dalla trama originale di Breakfast at Tiffany’s, riprendendo sì i punti cardine della sua versione cartacea, ma modificando ampiamente le personalità dei protagonisti, e prendendosi più di una licenza poetica.

Truman Capote, Colazione da Tiffany e il “problema” Holly Golightly

Truman Capote Colazione da Tiffany
Audrey Hepburn è Holly Golightly nel film “Colazione da Tiffany”, tratto dal romanzo di Truman Capote

I primi attriti tra la Paramount Pictures e Capote iniziarono sin dalla cessione dei diritti d’autore da parte di quest’ultimo alla casa di produzione. Nella sua mente, infatti, il suo personaggio principale, la mondana e intrigante Holly, aveva sempre avuto le fattezze della bionda e procace Marylin Monroe. «Marilyn è sempre stata la mia prima scelta per interpretare la ragazza, Holly Golightly», dichiarò deciso. Quando, dunque, la scelta per il ruolo ricadde sulla Hepburn, è facile immaginare la delusione del suo padre letterario. A dire la verità, la presenza dell’attrice britannica donò lustro alla pellicola e ne garantì la riuscita. Probabile quindi che, ad un certo punto, anche il suo più feroce detrattore abbia dovuto arrendersi di fronte all’evidente talento della ex Sabrina.

Al di là dei problemi di casting, però, molte sopracciglia furono inarcate davanti al sostanziale cambiamento caratteriale della ragazza. Prima di tutto, l’allusione alla sua bisessualità, più volte lasciata intendere nel corso del racconto di Truman Capote, manca del tutto nel lungometraggio. A tal proposito, la modella Mag Wildwood, che, verso la metà della vicenda, si trasferisce da Holly, portando con sé una certa ambiguità, diventa una semplice comparsa, avvistata ad un party. Nella stessa misura, i rapporti intrattenuti dalla Golightly con i suoi “clienti” sono parecchio smorzati. L’autore la descrive, senza mezzi termini, come un’american geisha, che accompagna professionisti facoltosi in giro per ristoranti di lusso e locali notturni, in cambio di doni di valore o di denaro. Tuttavia, la sbarazzina eleganza di Audrey ha reso la donna più leggera e innocente. Forse troppo, per il suo creatore, che l’avrebbe preferita più vicina ad una femme fatale.

Paul e Joe, innamorati e maltrattati dal film

Anche il co-protagonista, Paul Varjack, che in Colazione da Tiffany ha il volto di George Peppard, ha subito dei tagli e dei rimaneggiamenti. Nel romanzo, infatti, lo squattrinato scrittore è il personaggio principale della storia, nonché voce narrante e punto di vista in cui il lettore può ritrovarsi. È grazie a lui, in fin dei conti, che conosciamo Holly. Attraverso un lunghissimo flashback, infatti, torniamo indietro nel tempo e ripercorriamo il suo incontro con la magnetica e complessa fanciulla, scoprendo sempre di più sulla loro love story, che ha ben poco del romanticismo e della delicatezza narrata dal film. Film che, oltretutto, gli assegna un’amante non pervenuta tra le pagine del libro.

Se Paul ha visto ridurre la sua importanza, può comunque consolarsi, pensando a quanto il povero Joe Bell se la sia passata peggio di lui. Il barista è innamorato perdutamente dell’ambivalente donna, ma deve accontentarsi di un idillio platonico con lei, più simile a un’amicizia che a una relazione. Un personaggio chiave, ma totalmente omesso nella trasposizione cinematografica. E dire che, in fondo, tutto ha inizio proprio nel suo locale. Il narratore e Joe, nel primo capitolo, si ritrovano al bancone a discutere e confrontarsi su Holly, che entrambi non vedono più e della quale non hanno notizie da una dozzina d’anni.

Truman Capote e l'(un)happy ending di Colazione da Tiffany

Truman Capote aveva caratterizzato la sua protagonista al dettaglio, evidenziandone luci e ombre, mostrandola vulnerabile ed insicura e, al tempo stesso, maliziosa e irresistibile. Un mix di contraddizioni che la rendevano nebulosa e arcana. Su una cosa, però, era stato fin troppo chiaro: non c’era spazio, nella cruda realtà di Holly Golightly, per un lieto fine. La coppia sopra le righe formata con il condomino Paul era una parte della sua storia e non, come nel film, il focus principale su cui concentrarsi. Lontanissimo dall’essere una frizzante rom-com, Breakfast at Tiffany’s è uno spaccato amaro di una società sfaccettata e popolata da persone in preda a dubbi e crisi interiori. Nessuna colonna sonora imponente per i momenti clou, nessun finale da fiaba, nessun bacio appassionato sotto la pioggia.

Il lungometraggio sposta tutto in avanti, trasferendo il carrozzone negli anni Sessanta, due decenni dopo l’ambientazione originaria, e assicura alla coppia una felicità condivisa. Il romanzo, invece, che ha luogo nei fumosi anni Quaranta, ci lascia con una grande incertezza circa il destino di Holly. Holly prende davvero quell’aereo che la condurrà in Brasile, in seguito a una gravidanza inattesa, un aborto spontaneo e un arresto. Braccata, non può far altro che lasciare alle spalle il suo gattino senza nome e il suo amore altrettanto anonimo, sperando in un futuro migliore. Solo poco prima di partire ha dei ripensamenti e corre a cercare il felino, senza però trovarlo. Si rassegna perciò a volare via, non prima di aver fatto promettere a Paul di ritrovarlo. Il giovane mantiene la promessa e recupera Gatto, affidandolo a una famiglia e a un fato più benevolo, sperando che anche la sua padrona, dall’altra parte del globo, abbia trovato il suo posto nel mondo. Un happy ending non troppo happy, certo, ma di sicuro più vero.

Federica Checchia

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