“Colazione da Tiffany”, malinconia, sfarzo e lo zampino di un gatto stasera in tv

Foto dell'autore

Di Federica De Candia

Quando il taxi giallo, vecchia maniera, accosta in una spaziosa e lussuosa Quinta Strada a New York, è l’alba. Scende una ricca signora, ancora giovane. Tubino nero, le perle indietro al collo in una cascata al contrario. La camminata di passetti stretti, giustificati dalla fasciatura dell’abito, l’accompagnano, in una deliziosa e aristocratica movenza, davanti il tempio dello sfarzo. Che brilla di luce propria, anche fuori le vetrine, in una grigia, solita giornata americana. “Colazione da Tiffany“, stasera in tv: il film tratto dall’omonimo romanzo di Truman Capote, ha nel titolo la scena iniziale.

Tutto il pubblico spettatore crede che lei entri nel negozio. Ma il gesto, che racchiude l’anima del film, è più sorprendente. Holly (Audrey Hepburn), sceglie uno strano modo di consumare la propria colazione; mentre gli occhiali neri le donano un tocco glamour e di riservata alterigia, da un sacchetto bianco sfodera il cappuccino americano, rigorosamente nel bicchiere di carta, e la brioche. Non si entra per acquistare gioielli, ma si divorano con gli occhi assieme al primo pasto.

Locandina Colazione da Tiffany, poster 1961 - Foto web
Locandina Colazione da Tiffany, poster 1961 – Foto web

Non è colazione, ma scena epica

Nonostante il suo carattere apparentemente gioviale, Holly è intimamente fragile. Spaventata dalle persone e dalla realtà, che teme possa essere crudele. E ritrova in Tiffany, come dice lei, “quel silenzio, quell’aria solenne, non può capitarti niente di brutto. Se io trovassi un posto a questo mondo che mi fa sentire come Tiffany…comprerei i mobili e darei un nome al gatto.” Il suo delicato, silenzioso compagno che si chiama proprio gatto.

Perché non si sente in diritto di dargli un nome. “Povero amore senza nome”. Un nome è una prigione. Trovato in strada in un incontro casuale, restano entrambi creature che non si appartengono. Anche lei non vuole appartenere a nessuno. Emerge fin da qui il tema caro al film: dipendere da qualcosa o da qualcuno, senza che questo diventi una limitazione della libertà.

Scena film Colazione da Tiffany – Clip YouTube

Tiffany, la culla

C’è frivolezza nel personaggio di Audrey Hepburn, frequenta feste con gente che non conosce, ha relazioni con uomini che chiama “vermi”, senza troppe metafore. Ma il film, con grande semplicità, prova a raccontare temi impegnativi. Passando dalla ragazza svampita, alla New York nel pieno sviluppo culturale ed economico degli anni ’50. Dove, la superficialità delle relazioni e l’affermazione dell’io, stanno modificando la società.

Holly e Paul (George Peppard), si incontrano a New York. Lei giovane modella che frequenta l’alta società, lui scrittore in cerca di ispirazione, mantenuto da una danarosa e anziana signora (Patricia Neal). Il loro incontro-scontro si trasformerà in amore? Una combinazione di malinconia, divertimento, ironia, per un film che sembrerebbe un po’ noir, fatuo, ma, appena lo si pensa così, ecco che pare commedia. Con lo strascico sentimentale che commuove. Che rende l’attrice Audrey in uno stato di grazia. Nessun altra al suo posto, nel suo ruolo, sarebbe uguale.

Scena incontro – Clip YouTube

Musica da Oscar in Colazione da Tifany

Con quella chitarra, affacciata alla finestra, il davanzale per palcoscenico, l’oscar va alla colonna sonora Moon river, di Henry Mancini. Brano diventato universale anche grazie a Frank Sinatra. Ma, in fondo, i riconoscimenti, li merita anche lei, per quelle note strimpellate. Un languido passaggio dalla fragilità all’adorabile malinconia. Il dolore inesprimibile della protagonista, si intravede nelle sue stranezze, nelle ansie, le alienazioni, che aprono uno squarcio nel suo mondo fantastico.

Non saranno gli ori e i preziosi a colmare e tamponare quel vuoto, ma l’atmosfera, il silenzio austero e consolatore della gioielleria d’eccellenza. Dove la disillusione e l’angoscia, hanno la tregua e la pace che un giovane cuore meriterebbe. Un finale, per il film “Colazione da Tiffany” stasera in tv, che lo stesso scrittore-autore, Capote, non accettò mai. Così diverso dalla sua invenzione, che poco si era inchinata alle ragioni della commedia. Lui che avrebbe voluto Marilyn Monroe come interprete, a tutti i costi.

Un gatto tra due amanti in Colazione da Tiffany

Holly, la ragazzina donna, difronte la confessione d’amore di Paul, reagisce facendo scendere dal taxi il gatto. In nome della libertà di non appartenenza. Un randagio che torna randagio. Il suo abbandono, in una gelida serata di pioggia, sarà il prezzo della purificazione, il via libera che cancella ogni sottomissione. Per poi capitolare nella scena fatidica del bacio sotto il temporale. Bagnati come se non importasse ripararsi; infreddoliti come chi non bada a coprirsi. Il micio, recuperato, tra le loro braccia, naufrago, forse salvo più di prima.

I soldi, la stravaganza, la leggerezza. Holly dorme nuda e perfettamente truccata. Beve il latte al mattino da una coppa di champagne, tiene le ballerine da danza in frigorifero. Ogni moralismo gettato via. Tutte insensatezze, però, perdonate. Volano ore corte come minuti, quando un film sa conquistare. E alla fine, di questa piccola cerva solitaria, in un vestito da gran sera Givenchy famoso quanto lei, che parla al gatto, che lascia intravedere il cuore gracile come il suo corpo, di certo, qualcosa rimarrà. Di duraturo. Qualcosa che nasce, e qualcosa che muore. In un film senza tempo, che vale tutti i carati promessi nel titolo.

Federica De Candia. Seguici sempre su MMI e Metropolitan cinema