Mala tempora currunt è una nota espressione latina, ed è perfetta per descrivere quanto accaduto giovedì mattina. Secondo quanto riportato da Il Messaggero, durante l’anteprima nazionale de Il ragazzo dai pantaloni rosa, film tratto dal romanzo autobiografico di Teresa Manes, la delegazione studentesca presente in sala ha dato il peggio di sé. Ad assistere alla proiezione c’erano oltre settecento ragazzi tra i quindici e i diciassette anni, selezionati tra le scuole della capitale. Quella che, però, avrebbe dovuto essere un’occasione di riflessione e dialogo (la pellicola si basa su fatti realmente accaduti), si è trasformata in caos puro. Dalla platea, per tutta la durata del lungometraggio, si sono uditi insulti omofobi e orrori di ogni sorta, da «Gay di merda» a «Ma questo quando s’ammazza?». La testimonianza di un’insegnante riporta quanto sia stato «aberrante sentire certe cose. La mia classe e io ci siamo sentiti a disagio. Ho provato a zittire chi continuava». Per la docente, tutto era iniziato quasi per gioco, per poi degenerare «in un circo».

Chi era presente si dice incredulo per quanto ascoltato: «Alcuni hanno addirittura gridato insulti omofobi come “fr*o.». Una studentessa racconta: «Ero al cinema con la mia classe, non vi dico lo schifo che abbiamo provato nel sentire tutti quei commenti orribili e il comportamento immaturo che c’è stato. Chi voleva godersi il film non ci è riuscito. Mi dispiace e mi vergogno.».

Il ragazzo dai pantaloni rosa: la storia di Andrea

Il ragazzo dai pantaloni rosa
Il cast del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, nelle sale da 7 novembre

Ciò che più ferisce di questa vicenda, è il fatto che la storia dietro l’opera di Margherita Ferri sia reale, ma che le persone coinvolte non abbiano avuto rispetto neanche per una tragedia davvero accaduta. Andrea Spezzacatena si è tolto la vita poco dopo aver compiuto quindici anni; studioso, solare e apparentemente felice, il suo gesto aveva spiazzato tutti. Solo quando la madre è entrata sul profilo Facebook del figlio, la verità è stata svelata. Il giovane aveva attraversato l’inferno, subendo atti di bullismo e cyberbullismo dai suoi compagni, provando a far fronte da solo all’ondata di odio ingiustificato abbattutasi nei suoi confronti, senza sentire di avere via d’uscita. Il film è narrato direttamente da Andrea (Samuele Carrino), che parla dall’aldilà alla madre (Claudia Pandolfi) e agli altri personaggi.

Lo sceneggiatore Roberto Proia ricorda: «Quello di Andrea fu il primo grande caso di cyberbullismo che finì in suicidio. Oggi quasi non fa più notizia, purtroppo. Per questo volevamo accendere un faro su questo fenomeno, rendere onore ad un caduto in questa battaglia. Sappiamo che anche in questa sala ci sono ragazzi che tutt’oggi combattono con il bullismo. Volevamo darvi una mano e speriamo di esserci riusciti.».

Un film necessario per curare una società malata

Il ragazzo dai pantaloni rosa è un film doloroso, un monito per le nuove e vecchie generazioni. Un grido d’angoscia che però, a quanto pare, non riesce a raggiungere le orecchie più dure. Orecchie che, molto spesso, appartengono agli adulti. Sta destando scalpore la decisione di una scuola media della provincia di Treviso di annullare la proiezione per gli alunni, in seguito alle proteste di alcuni genitori. Come segnalato da La Tribuna di Treviso, la professoressa che aveva proposto l’iniziativa, nulla ha potuto contro il muro d’ignoranza che le si è parato davanti. Nonostante l’intento educativo dell’idea, volta alla sensibilizzazione circa tematiche come la prevenzione del suicidio giovanile, l’inclusione e la violenza, la pressione operata dalle famiglie degli studenti ha prevalso.

I fatti di Roma, dunque, non possono stupire, se inseriti all’interno di una società ancora così chiusa e refrattaria a trattare argomenti di questo genere. Ciò che “i grandi” insegnano, “i piccoli” assorbono, e, complice l’approccio dell’attuale Governo verso la comunità LGBTQIA+, gli odiatori seriali si sentono autorizzati ad aprire bocca con aggressività, consapevoli del fatto che non ci saranno ripercussioni. Un premier che inserisce il bullismo in un elenco di “devianze”, sminuendone la pericolosità, offre un terreno fertile per la crescita rigogliosa di sentimenti d’intolleranza verso il prossimo. Un terreno in cui, però, vicende come quella di Andrea provano a seminare nuove consapevolezze, aprendo anche gli occhi più chiusi.

Il ragazzo dai pantaloni rosa: «Volevamo fare un film che celebrasse la vita di Andrea»

«Volevamo fare un film» – ha spiegato la regista Margherita Ferri «che celebrasse la vita di questo ragazzo e non la morte. Con la troupe ci siamo spesso dimenticati della fine del film, tante volte abbiamo pensato di cambiare una fine che non si poteva cambiare. La responsabilità è stata sentita da tutti i protagonisti, tutti abbiamo lavorato come se Andrea fosse qua.».

Quella di Andrea Spezzacatena è una storia simile ad altre, tante, troppe, e dagli epiloghi simili alla sua. Quello che gli è stato fatto è capitato e, purtroppo, continua ad accadere a centinaia di giovanissimi, perseguitati per l’orientamento sessuale, per la loro etnia, o per quelle che sono semplici caratteristiche, ma che vengono additate come macchie indelebili. Eppure, quando sul quotidiano leggiamo di questo o quell’adolescente che si è suicidato, stanco degli insulti, dobbiamo ricordarci che, dietro la notizia di cronaca, c’erano ragazzi pieni di speranze, sogni e ambizioni, proprio come il protagonista della pellicola. Sta a noi onorare la sua memoria, difendendolo dagli attacchi che anche ora gli vengono rivolti, per far sì che non muoia due volte. Andrea avrebbe meritato di più, e tutte le vittime di bullismo e omofobia avrebbero meritato e meritano un mondo migliore di quello che stiamo presentando loro.

Il ragazzo dai pantaloni rosa arriverà nelle sale il prossimo 7 novembre, ma nelle giornate del 4, 5 e 6 novembre sarà proiettato al cinema esclusivamente per le scuole.

Federica Checchia

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