Domani, 21 novembre, esce il nuovo film di Gabriele Salvatores: “Napoli – New York“. Il titolo del film suggerisce, è ovvio, un viaggio. E il viaggio, insieme all’amicizia, è uno dei temi più cari al regista milanese. Dunque, in occasione dell’uscita della sua ultima opera, ecco una classifica dei migliori film di Gabriele Salvatores, cinque titoli che l’hanno reso un regista indimenticabile.
5) Puerto Escondido
“Che danno ci farà un sistema che ci stordisce di bisogni artificiali per farci dimenticare i bisogni reali? Come si possono misurare le mutilazioni dell’anima umana?”. Questa frase di Eduardo Galeano apre il film e ne rivela tutta l’essenza. Forse, scava ancora più in profondità e palesa il cuore dell’intera “tetralogia della fuga” del regista, conclusa nel 1992 proprio da Puerto Escondido.
Il film, tratto dal romanzo omonimo di Pino Carucci, racconta le vicende di Mario Tozzi (Diego Abatantuono), vicedirettore di banca a Milano, involontario testimone di un duplice omicidio. Mario è così costretto a fuggire a Puerto Escondido per scappare dalle grinfie dell’assassino. In Messico trova una coppia di italiani (Valeria Golino e Claudio Bisio) che vive alla giornata, tra combattimenti di galli e spaccio di droghe leggere. Mario si unirà a loro, ritrovandosi in una dimensione totalmente diversa rispetto alla sua precedente esistenza. Un “eroe fuor d’acqua” che viaggia fino a raggiungere una nuova interiorità, in un racconto che mescola elementi comici, drammatici, surreali e grotteschi, incorniciati dal fascino struggente del paesaggio messicano.
4) Sud
L’anno seguente Salvatores dirige Sud (1993), film interamente girato a Marzamemi (splendido borgo marinaro in provincia di Siracusa). Il film non è ambientato in un luogo specifico, bensì in un territorio ideale nel quale lo Stato lascia il posto (o ne è complice) al malaffare, al broglio, al crimine. Un non-luogo che, tuttavia, raccoglie elementi campani, siciliani, pugliesi e calabresi, evolvendo, dunque, in un tentativo di denuncia della situazione politica e sociale dell’intero Mezzogiorno, dilaniato e deturpato dalla criminalità organizzata e da una politica incapace di contrastarne l’operato, omertosa o perfino complice. Una denuncia raccontata dal punto di vista degli “ultimi”, emarginati, disoccupati e senza fissa dimora. Quattro disperati capitanati da Ciro (Silvio Orlando) che decidono di occupare un seggio elettorale in segno di protesta contro i brogli orchestrati dal losco onorevole locale, la cui figlia – casualmente – viene catturata dal gruppo durante l’occupazione.
Un omaggio ai resistenti, una «dedica ai ragazzi dei centri sociali, gli ultimi anticorpi delle grandi metropoli», rivela Salvatores durante una serata dedicata alla presentazione della colonna sonora del film, costituita, tra gli altri, da gruppi come i 99 Posse e gli Assalti frontali.
3) Io non ho paura
Nel 2003 dirige “Io non ho paura”, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti (che firma la sceneggiatura insieme a Francesca Marciano). È un nuovo Salvatores, che abbandona il suo gruppo di amici-attori e i temi a lui più cari fino a quel momento. Gli attori, qui, sono quasi tutti alla prima esperienza, e la fuga e la nostalgia lasciano il posto all’orrore, al mistero e all’inquietudine. Resta centrale, però, il tema dell’amicizia. È la storia di Michele Amitrano, 10 anni, che nella calda estate del ‘78, in un pozzo scavato nel terreno nei pressi di una casa abbandonata, trova Filippo, suo coetaneo, rapito e imprigionato da una banda di rapitori con la complicità di tutti gli adulti del paese.
“Una storia d’infanzia perduta”, come la definì lo stesso Salvatores, in cui i bambini protagonisti si trovano a fare i conti con l’irrazionale crudeltà degli adulti e sono costretti a fuggirvi cercando riparo nel mondo delle favole e della fantasia.
2) Marrakech Express
Nel 1989, Salvatores abbandona completamente il teatro per passare definitivamente al mondo del cinema. In quell’anno, realizza uno di quei film su cui si può sempre contare, che fa bene al cuore, che emana il calore di un abbraccio, il profumo del pane appena sfornato: Marrakech Express. Per molti, il “comfort movie” per eccellenza. Il film (tratto da una sceneggiatura del compianto Carlo Mazzacurati) narra di un gruppo di amici che si ritrova dopo dieci lunghi anni e che parte per un lungo viaggio allo scopo di aiutare Rudy, un altro loro amico storico, rinchiuso in un carcere di Marrakech. Un road movie dolceamaro in cui ciò che conta non è la destinazione ma il viaggio. Un’ode all’amicizia in cui è impossibile non riconoscersi, che non lascia spazio all’indifferenza negli occhi di guarda. Un film che trascina lo spettatore nel dolce ricordo di un’amicizia, quella che si stringe in strada, da piccoli, o sui banchi di scuola, il cui legame resta indissolubile nel tempo, qualunque sia il percorso che si intraprende “da grandi”, qualunque sia il tempo trascorso dall’ultimo calcio al pallone, dall’ultima cotta, dall’ultimo vivido ricordo.
E poi, ad accompagnare il viaggio, Dalla e De Gregori, “L’anno che verrà” e “La leva calcistica della classe ‘68”. Due pezzoni azzeccatissimi, struggenti, intrisi di rimpianto e malinconia, colonna sonora ideale di un lungo viaggio.
1) Mediterraneo
Due anni più tardi, nel 1991, giunge la consacrazione internazionale con “Mediterraneo”, che vale a Salvatores l’Oscar al miglior film straniero. Mediterraneo racconta una storia ambientata durante la seconda guerra mondiale, in cui otto soldati italiani, quasi trentenni, vengono mandati a presidiare un’isoletta greca che non ha alcuna importanza strategica, apparentemente deserta ma in realtà piena di gente simpatica, di buon vino, di sole e di mare, e in cui la guerra sembra solo un fatto lontano. La guerra, insomma, è solo un pretesto per permettere a Salvatores di dipingere un ritratto di gruppo (composto dai suoi fedeli amici-attori) e di osservarne, insieme al pubblico, l’evoluzione, la trasformazione. Un elogio alla fuga alla scoperta di terre nuove che solo i grigi palazzi della politica possono decretare come nemiche e che di ostile, invece, non hanno nulla. Un elogio alla fuga verso la realizzazione dei propri desideri, anche quelli più reconditi, nella speranza di poter vivere bene con i riti minimi della sopravvivenza, nel totale ripudio alla guerra.
“Sai che ogni volta che vedo un tramonto mi girano i coglioni? Perché penso che è passato un altro giorno. Dopo mi commuovo, perché penso che sono solo. Un puntino nell’universo.”
Sebastiano Pistritto
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