“Mediterraneo”, per non dimenticare il capolavoro di Salvatores

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

Ha da poco girato un film documentario sul lockdown, il grande regista di origini partenopee. Una perla che va ad aggiungersi all’elenco di piccoli capolavori che tempestano la sua cinematografia. Ma tra le opere di Gabriele Salvatores, prima di Tutto il mio folle amore, del Ragazzo Invisibile, di Educazione siberiana, c’era Mediterraneo.

Il film chiude la “trilogia della fuga”, che si distingue sì per la partecipazione di Diego Abatantuono, che col regista ha stretto un sodalizio eterno, ma soprattutto per la tematica. I personaggi di Salvatores scappano, non sempre coscienti, dalla noia e dal dolore della vita, e si rifugiano in luoghi lontani che accoglienti o meno, infine lo diventano. Luoghi dell’anima, come la piccola isola protagonista di Mediterraneo, che si aggiudicò nel 1992 l’Oscar al miglior film in lingua straniera.

Diego Abatantuono e Claudio Bigagli – Photo Credits: Spettacolo Periodico Daily

Persi nel Mediterraneo

“La Grecia è la tomba degli italiani”. Così una scritta in greco, il cui significato si rivelerà più misterioso del previsto, accoglie un piccolo gruppo di militari spedito in uno sperduto isolotto del Mediterraneo. Siamo nel 1941, e l’Italia in piena guerra cerca di espandere il suo controllo. Gli otto militari e l’asina Silvana, con a capo il colto Tenente Raffaele Montini (Claudio Bigagli), armati e pronti alla battaglia si trovano però in un piccolo paradiso deserto.

Precedentemente occupata dai tedeschi, l’isola si protegge quindi da una nuova invasione. Ma quando gli abitanti capiscono che i nuovi arrivati sono gli italiani, e per di più un gruppo totalmente inadatto al combattimento, sbucano fuori, e trascinano in una commedia dai toni amari i personaggi nel vortice della loro vita. Integrato nella comunità, amando e odiando l’isola, il gruppo non si accorge neppure degli anni che passano, e che l’8 settembre è arrivato.

“La banda Salvatores” – Photo Credits: Everyeye Cinema

L’integrazione e l’addio

Che gli anni passino così in fretta, nell’adattamento di Sagapò di Renzo Biasion, non ce ne accorgiamo neanche noi. L’isola è da sempre un luogo ideale, in cui il tempo si ferma, e in quella di Salavatores la guerra può arrivare con la bandiera tedesca, ma se a sbarcare sono gli italiani, li culla e li addormenta. Non tutti, certo. Corrado Noventa (Claudio Bisio) tenta di scappare, e alla fine ci riesce, perché sente qualcuno che lo chiama da fuori.

Gli altri invece, questi personaggi interpretati da una parte della banda di attori che Salvatores ha radunato negli anni, sono costretti a vivere il dramma sempre attuale dell’integrazione forzata e del ritorno in patria quando gli inglesi arrivano ad imporre che è tutto finito. Potremmo certamente dire che la storia di Salvatores si ispira a quella dell’isola di Leros, ma è in realtà una storia che in guerra si ripete e si ripete, e alla quale il regista ha saputo certamente dare i colori del mito.

Seguici su MMI e Metropolitan cinema
Manuela Famà