«Per me, questo processo sarà quello della vigliaccheria». Sono queste le parole di Gisèle Pelicot, ripetute per ben tre volte quando ieri, 19 novembre, si è recata davanti ai giudici di Avignone per la sua quarta e ultima testimonianza. La donna si è ritrovata ad essere, suo malgrado, un simbolo nella lotta alle violenze di genere. Questo, dopo aver scoperto di essere stata sedata da suo marito, per poi essere stuprata, mentre era in stato d’incoscienza, da oltre cinquanta uomini. I suoi aguzzini hanno un’età compresa tra i trenta e i settant’anni, e venivano “assoldati” online da Dominque Pelicot, che drogava sua moglie e poi la lasciava alla mercé degli sconosciuti, filmando e immortalando gli abusi.
Un caso che ha sconvolto la Francia e il mondo intero, e che ha distrutto la vita della settantunenne di Mazan, Provenza. Eppure, Gisèle non ha lasciato che l’orrore la sovrastasse e, rinunciando all’anonimato, ha coraggiosamente mostrato il volto e fatto sentire la propria voce, rendendo il processo in corso una vera e propria rivoluzione. Da oltre due mesi, assiste alle deposizioni degli accusati, e riguarda quei video che hanno trasformato la sua disperazione in rabbia e desiderio di giustizia.
Le dichiarazioni di Gisèle Pelicot: «La società deve guardare a come banalizza questo tema»
Nel corso dell’udienza, Gisèle ha dichiarato: «Non ho molto altro da aggiungere a quello che ho detto quando questo processo si è aperto. La società a questo punto deve guardare a come banalizza un tema come quello dello stupro e della violenza di genere. Per un periodo di tempo ho pensato di essere malata, in realtà ora scopro che erano gli effetti dei farmaci che assumevo mio malgrado e che mi stordivano. Ogni giorno sembrava una condanna a morte per me.».
Ha poi parlato dell’ex coniuge, che non ha mai alzato lo sguardo: «Perché trovo difficile odiare il mio ex marito? Perché mi sento ancora una persona positiva, so che Dominique ha avuto un’infanzia complicata. Io non mi sentirò mai in pace con me stessa, imparerò a conviverci ma mi ricostruirò. Nonostante questo, ci saranno sempre cinquantuno persone che mi hanno violata.».
Le accuse ai cinquantuno violentatori e all’ex marito
In aula, ieri, è stato ascoltato l’ultimo degli imputati, un sessantaduenne di nome Philippe L. L’uomo ha raccontato di aver conosciuto il signor Pelicot nel 2018 e di aver organizzato l’incontro. Dominique lo avrebbe accolto spiegandogli come la donna avesse assunto dei sonniferi, definendolo “un gioco”: «Sono rimasto sorpreso dalla situazione, ero titubante, ma Dominique Pelicot alla fine mi ha convinto».
Proprio ai suoi carnefici si è rivolta anche Gisèle: «Gli imputati non sono stati ingenui a presentarsi a casa mia. Non sono bambini, la coscienza deve entrare in gioco quando entri nella camera da letto di una persona incosciente. Non perdono le azioni di mio marito, so che è un predatore sessuale. Sono stata tradita e ingannata. Non avrei potuto immaginare neanche per un istante che fosse capace di cose del genere. I miei figli portano il suo cognome e anche i miei nipoti. Pensavamo di vivere con una brava persona.»
«Ho visto prendere posizione persone che negavano lo stupro», ha ripetuto, «Ho molti problemi ad affrontare questa banalità. Voglio dire a questi uomini: cosa eravate quando siete entrati in questa stanza e Madame Pelicot non vi ha dato il consenso? Quando siete stati coscienti di questo corpo inerme? Fino a quando non lo avete denunciato alla polizia? Ho sentito: ‘Ero telecomandato’. Ho sentito: “Ho bevuto un bicchiere d’acqua, mi sono drogato”. Fino a quando questo non vi ha colpito?».
La “casa degli orrori”: anche la figlia tra le possibili vittime
Come se questa storia non fosse già abbastanza dolorosa, nelle ultime udienze sono emersi ulteriori dettagli sulla vita in casa Pelicot, e alcuni di essi riguarderebbero la figlia della coppia, che usa lo pseudonimo Caroline Darian. Dal processo è emerso che Pelicot ha fotografato sia lei che le mogli dei suoi figli a loro insaputa, mentre erano nude, per poi pubblicare gli scatti sui social network, insieme a fotomontaggi pornografici. Il dubbio che tormenta Caroline è di essere stata a sua volta sedata e stuprata, proprio come sua madre: «L’unica differenza tra me e lei è la mancanza di prove che mi riguardano. Per me è una tragedia assoluta.». La donna ha pubblicato nel 2022 un libro intitolato Et j’ai cesse de t’appeler papa (E ho smesso di chiamarti papà). Dominique Pelicot, però, nega di aver abusato di lei.
Tra le altre testimonianze spicca quella del fratello David, per il quale la famiglia è totalmente distrutta dalle azioni del padre: «Speriamo che in futuro riusciremo a cancellare dalla nostra mente l’uomo alla mia sinistra». Ha poi manifestato la speranza che lui e gli altri imputati «saranno puniti per gli orrori e le atrocità commesse contro mia madre».
Tutta la dignità di Gisèle Pelicot
«È veramente ora che la società maschilista, patriarcale, che banalizza lo stupro, cambi. È ora di cambiare lo sguardo sullo stupro» , è l’appello di Gisèle Pelicot in tribunale. Ha poi ammesso di sentire di aver perso dieci anni della sua vita, che non riavrà mai più: «Sapevo a cosa andavo incontro quando ho rinunciato al diritto a un processo a porte chiuse… Ammetto che oggi sento la stanchezza».
Sfinita, ma non doma, e coraggiosa fino alla fine. Le sue parole risuonano in tutto il pianeta, e oltre quattrocento organizzazioni e personalità hanno lanciato un appello per una manifestazione in strada, che dovrebbe aver luogo il 23 novembre, due giorni prima della Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne. La Segreteria di Stato per le pari opportunità, intanto, ha promesso misure concrete per contrastare questa piaga sociale. Nel frattempo, si attende il verdetto dei giudici, previsto il 20 dicembre.
E, a chi la interroga circa la scelta di esporsi in prima linea, Gisèle risponde: «Anche io continuerò a chiamarmi Pelicot: appena questo processo si è aperto, i miei cari si vergognavano di questo nome. Oggi il mondo conosce Gisèle Pelicot, sa chi sono e voglio che i miei nipotini siano orgogliosi della loro nonna. Non voglio che si vergognino di portare quel cognome perché oggi è il mio, sarà sempre associato a quello che io ho fatto in quest’aula di tribunale.»
Federica Checchia
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