Nella serata di ieri, 31 agosto, la piccola Repubblica di San Marino ha approvato la legge sull’aborto con 32 voti a favore, 7 contrari, 10 astenuti e 10 assenti

Alla legge si è arrivati dopo un referendum che si era tenuto lo scorso settembre e che era stato voluto e promosso dai movimenti femministi, come l’Unione Donne Sammarinesi. Il referendum si era tenuto dopo 18 anni di tentativi di depenalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza: con una maggioranza larghissima (77,3 per cento) e un’affluenza del 41 per cento, gli abitanti di San Marino avevano espresso un voto favorevole alla depenalizzazione, costringendo quindi il parlamento a modificare il codice penale e a disciplinarla con una legge.

San Marino, il referendum volto alla depenalizzazione dell'aborto
San Marino, il referendum volto alla depenalizzazione dell’aborto

Prima dell’approvazione di questa legge, a San Marino gli articoli 153 e 154 del codice penale prevedevano il carcere da sei mesi a tre anni per la donna che abortiva, e pene fino a sei anni per chi l’aiutava o eseguiva materialmente l’aborto.

Cosa prevede la legge

La legge prevede l’istituzione di consultori in cui le minorenni potranno accedere alla contraccezione di emergenza senza l’autorizzazione dei genitori o la ricetta, l’inserimento di programmi di educazione sessuale nelle scuole, il divieto di effettuare interventi di interruzione volontaria di gravidanza in libera professione per il personale che scelga l’obiezione di coscienza, la perseguibilità di professionisti che forniscano informazioni false al fine di dissuadere la donna dal richiedere l’interruzione di gravidanza.

La legge impone anche la tutela della «dignità della donna da qualsiasi giudizio morale o pressione psicologica in relazione alla scelta personale o all’intenzionalità della stessa di fare ricorso alle procedure o agli interventi previsti» dalla legge.

La legge prevede inoltre misure per limitare gli effetti di eventuali obiezioni di coscienza sulla donna che scelga di abortire, con un obbligo per l’Istituto per la Sicurezza Sociale, quello che garantisce il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, di «attivare appositi contratti a convenzione con professionisti non obiettori» in caso di impossibilità a ricorrere all’aborto in una struttura in cui è previsto.