Addio a Sigaro

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Di Redazione Metropolitan

Ci sono eventi che finiscono per configurarsi come cesure, come la “fine di un’epoca”. La morte di Angelo “Sigaro” Conti, avvenuta lo scorso undici dicembre, è proprio questo, per molte persone. La fine di un’epoca. Lo storico chitarrista e frontman della Banda Bassotti, storico gruppo musicale romano, lascia un enorme vuoto nei quartieri e nei cuori della capitale.

E non solo. Una breve ma feroce malattia lo ha strappato a tutti i suoi compagni all’età di soli 62 anni. Per ricordarlo, un manifesto con una sua immagine, con poche ma esplicative parole a descrivere la sua vita: «Chi lotta non sarà mai schiavo. Ciao Sigaro».

Ma chi era veramente quest’uomo, divenuto icona del combat rock romano?

Uno degli scatti più belli di Angelo “Sigaro” Conti mentre canta (foto dal web)

Sigaro era molte cose diverse, per molte persone diverse. Un amico, un cantante, un compagno, un collega. Era però prima di tutto un operaio, che ha sempre lavorato in cantiere. Ed è proprio nella cooperativa del cantiere in cui lavorava che nel 1981, insieme a Gianpaolo “Picchio” Picchiami e David Cacchione decide di mettere su un gruppo, per dar seguito alla passione per la musica che condividevano. L’ufficializzazione del progetto si attua qualche anno più tardi, nel 1987, quando il gruppo si trasforma in una vera e propria band.

Venivano dal cantiere e decidono che il cantiere è proprio quello di cui parleranno. Ma non solo. I loro ideali condivisi di una società giusta e solidale, li portano a cantare dell’abisso, del dolore e delle fatiche degli oppressi. Fanno dell’antifascismo e della lotta contro qualsiasi tipo di regime autoritario il proprio vessillo, mettendosi in gioco non solo sul palcoscenico ma in prima persona, durante moltissime manifestazioni. Al G8 di Genova c’erano, al fianco di tutti gli operai del mondo. Le loro istanze, trasformate in vere e proprie poesie cantate, non si arrestano infatti ai confini alpini, valicandoli per raggiungere terre lontane. Sposano le cause di popoli come quello palestinese o di paesi del Centro America come Nicaragua o El Salvador.

Il manifesto prodotto dai compagni di Sigaro per dirgli addio (foto dal web)

Tutte le loro produzioni parlavano di ciò che erano e ciò che volevano: da Balla e difendi del 1991 a Banditi Senza Tempo, del 2014. C’era sempre una nuova lotta da portare avanti, una nuova causa da sposare, un altro “sol dell’avvenire” da sognare. Dai centri sociali alle piazze, in questi decenni hanno sempre continuato a restare fedeli a se stessi, alternando il lavoro al cantiere con quello per la musica. Mai stanchi di lottare, come spiegava bene Sigaro in un’intervista di qualche tempo fa: «Continuiamo a lavorare in cantiere, siamo gli sfruttati. Siamo un gruppo di lavoratori comunisti che cercano di raccontare come si combatte l’ipocrisia e l’ingiustizia. Siamo anziani, è vero. Il nostro spirito però resta giovane».

E per chi lo conosceva, Sigaro era veramente così. Solo la morte ha arrestato il suo spirito, solo la morte poteva.

Il tempio Egizio al Verano dove centinaia di persone sono accorse per salutare un’ultima volta Angelo (foto dal web)

Le esequie, svoltesi lo scorso giovedì al Tempio Egizio del Verano, hanno visto la presenza di un migliaio di persone, appartenenti ad almeno tre generazioni diverse. Un saluto commosso che però non ha esitato a raccogliere i contenuti di Sigaro stesso. La rabbia, la lotta, la fratellanza e l’emancipazione. Le parole di Bella Ciao e Figli della stessa rabbia sono state cantante davanti al feretro, coperto da una bandiera rossa e dalla sua chitarra. Da un elmetto portato dagli amici del cantiere. Molti gli interventi, tante le lacrime e i saluti.

Manifesto per la Carovana Antifascista per il Donbass, iniziativa promossa dalla Banda Bassotti (foto dal web)

Ma Angelo era così importante per molti – a Roma e non – che i suoi compagni di una vita hanno deciso che Sigaro meritava ancora qualcos’altro, qualcosa in più. Così lo scorso sabato, per onorare ulteriormente la sua memoria hanno deciso di organizzare un concerto, per salutarlo tramite quelle che erano le sue più grandi passioni: la musica e la lotta. Quattro ore di concerto, dove le centinaia di partecipanti hanno avuto l’occasione di cantare a squarciagola, ancora una volta, le sue parole. Dove hanno avuto l’occasione di ascoltare, se non la sua voce, i suoi messaggi. Per farli ancora più propri, per farli penetrare un pochino più a fondo all’interno del cuore. Per raccogliere il testimone lasciato da una persona importante, che prima di tutto ha insegnato quanto la resa non fosse un’opzione. La scomparsa di Sigaro lascia un vuoto incolmabile, e questo è un fatto per molti. Ma il suo spirito, i suoi ideali certamente continueranno a vivere per molto tempo ancora.

Ciao Sigaro, figlio della stessa rabbia. Grazie di tutto.