Zack Snyder non è un buon regista – Parte 2: L’alba dei morti viventi

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Di Redazione Metropolitan

Secondo appuntamento con la nostra rubrica dedicata alle opere di Zack Snyder. Oggi ci occuperemo del suo primo film, il remake di un classico dell’horror: L’alba dei morti viventi.

Dopo quindici anni passati a dirigere video musicali e corti, Snyder debutta finalmente alla regia di un film nel 2004. Dirige il remake dello storico film di George Romero, Zombi (titolo originale: Dawn of the dead, che si traduce, appunto, con L’alba dei morti viventi), uscito nel 1978. L’originale, oltre che per le scene di violenza e suspense, si fece notare per la satira sociale riguardante consumismo, superstizione e violenza della polizia. Tutte caratteristiche che, invece, questo rifacimento ignora.

Un bizzarro RPG sparatutto

I protagonisti – Photo credits: web

Seppur con qualche differenza, la trama del remake è sostanzialmente la stessa dell’originale: esplode un’epidemia di un misterioso virus che trasforma la gente in zombie, alcuni sopravvissuti si rintanano in un centro commerciale e devono sopravvivere tra numerose difficoltà. La protagonista, un’infermiera di nome Ana (Sarah Polley) è accompagnata da un nutrito cast di personaggi, tra cui spiccano il poliziotto Kenneth (Ving Rhames), il bravo ragazzo Michael (Jake Weber), la guardia di sicurezza dalla testa calda CJ (Martin Kelly) e la coppia di sposini, Andre (Mekhi Phifer) e Luda (Inna Korobkina), quest’ultima incinta.

Più che un cast, si potrebbe parlare di un party da RPG: Ana è il guaritore, Kenneth il guerriero, CJ il berserker, e potrei proseguire con un gran numero di analogie. Paragonare questo film ad un videogioco è, in effetti, fin troppo facile: numerose scene sembrano rimandare più a Resident Evil e House of the dead che ad un qualunque horror sugli zombie. Non che questo sia sempre un male: le scene d’azione sono di altissimo livello. Per quanto lo si possa criticare, e per quanto l’uso di alcuni rallenty sia discutibile, Snyder qui mostra una buona capacità nel gestire sparatorie, esplosioni e automobili in corsa. Pochi minuti dopo l’inizio del film, e già è degna di nota la fuga in macchina di Ana attraverso la città devastata dall’infezione. La gore pure non manca, basti sapere che ci sarà una scena che coinvolgerà una motosega.

L’estetica del videoclipparo

Come detto nella prima parte della rubrica, i titoli di testa sono uno dei cavalli di battaglia dei film di Snyder. La sua opera prima non è da meno, con un intro senza dubbio inquietante e spettacolare, graziato dalle note di The Man comes around di Johnny Cash. Anche prima e dopo, però, questa estetica da regista di videoclip musicali non ci abbandona: fotografia ultrasaturata e montaggio ipercinetico la fanno da padrone. Il tutto rende la pellicola piacevole da vedere, senza dubbio, aiutata anche dalla buona colonna sonora originale di Tyler Bates. il problema si verifica quando c’è bisogno di far parlare i personaggi.

Nonostante la sceneggiatura sia firmata da James Gunn, futuro regista di Slither e del dittico sui Guardiani della Galassia, i dialoghi risultano un punto dolente. Quando i personaggi parlano, lo fanno per dire ovvietà o per fare discorsi banali, e di molti di essi si udirà il nome non più di una volta. Altri, come l’insopportabile Steve Marcus, interpretato da un ottimo Ty Burrell, meriterebbero ben più spazio, ma finiscono con l’essere confinati nel loro essere personaggi secondari. Dovrebbe importarci di queste persone, giacché sin da subito sappiamo che la maggior parte di esse non vedrà i titoli di coda, invece sono trattate come lattine pronte a venire sparate al tiro a segno.

Orrore non pervenuto

L'alba dei morti viventi
Photo credits: web

Come detto, gore e violenza non mancano. Sangue, teste che esplodono e arti mozzati, senza dimenticare gli immancabili jumpscare, sono presenti in abbondanza. Tuttavia, ci troviamo di fronte ad un orrore per nulla spaventoso. Gli zombie, rispetto all’originale, corrono e saltano, sono più sporchi che marcescenti e sembrano anche minimamente intelligenti. Più che un horror, sembra di essere di fronte ad un film d’azione con i morti viventi. Approccio che funziona, per carità, pur spogliando il film di anche solo una parvenza di contenuto.

Questo perché non è solo l’orrore a mancare, ma anche la satira sociale di cui sopra. I nemici sono gli zombie e non più gli esseri umani ossessionati dalla violenza, dai beni materiali e dalle superstizioni. Il centro commerciale è un posto in cui nascondersi come gli altri e quando si parla di qualunque concetto leggermente degno di nota, i discorsi dei protagonisti virano bruscamente sulla gravità della situazione o su quanto gli manchi il mondo di prima. Viene da chiedersi il motivo di tale operazione, giacché erano recenti film profondamente critici della società dei consumi come Fight Club, American Psycho e la 25a Ora, i quali certo non avevano tenuto lontano il pubblico.

Concludendo, L’alba dei morti viventi è un film spettacolare dal punto di vista visivo, pieno d’azione e colori brillanti. Risulta però impossibile non pensare a quanto sia blando rispetto all’originale, mancando completamente di sostanza.
Non perdetevi, comunque, i titoli di coda. Perché c’è Down with the sickness in sottofondo, sia chiaro.

La prima parte della rubrica

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