Alessandro Haber e l’autoritratto di un attore in “Volevo essere Marlon Brando”

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Di Redazione Metropolitan

Svestirsi dei propri panni per indossare quelli di qualcun altro e immedesimarsi in questi non è decisamente un talento comune, nemmeno tra gli attori. Anzi, è un privilegio concesso a quei pochi che possono definirsi veramente grandi e che, il più delle volte, non sanno neanche di esserlo. Un po’ come Alessandro Haber che nella sua autobiografia intitolata “Volevo essere Marlon Brando“, data alle stampe lo scorso 30 settembre, si racconta e racconta senza filtri né misure cosa significa per lui salire su un palcoscenico e, ancor più importante, cosa vuol dire indossare una maschera che solo all’apparenza non ci appartiene. Insomma, il ritratto di una vita e di un percorso artistico che hanno fatto del loro protagonista l’uomo che è oggi.

Alessandro Haber: l’uomo che voleva somigliare a Marlon Brando, ma che ha fatto molto di più

Voleva essere Marlon Brando. Ma alla fine, e forse senza rendersene conto, Alessandro Haber è stato in grado di fare molto di più. Più di quanto lui in primis avrebbe potuto aspettarsi. Vale a dire, l’aver avuto successo in una delle imprese più tentate e in cui in pochissimi sono riusciti: quella di (ri)trovare se stessi. E lo ha fatto attraverso la recitazione, quella disciplina a lui tanto cara e che contemporaneamente vorrebbe chiamare con un altro nome. “Recitare non mi piace – scrive all’inizio del suo libro – è un verbo che mi fa cagare, ma in Italia non si può dire altro. Invece jouer alla francese è perfetto“.

Centinaia le pellicole a cui ha preso parte, l’ultima La Befana vien di notte 2 – Le origini. Altrettante le drammaturgie teatrali che ha portato in scena, tra cui compaiono opere di Shakespeare, Charles Bukowski e Pier Paolo Pasolini. Per non parlare dei cortometraggi e della televisione. Non a caso, dal piccolo al grande schermo, passando per il teatro e la musica, sono diversi gli ambiti in cui ha avuto l’opportunità di farsi conoscere e lontano dai quali, ormai, a detta sua non potrebbe più vivere. Difatti, nelle prime pagine si può leggere:

Sono un attore, la mia è una malattia costruttiva, anche se poi mi piacciono i personaggi contorti e alcuni di questi sono rimasti nel mio inconscio. Non mi interessa sapere come sono come uomo perché, quando sono sul palcoscenico, sono più disponibile, dolce, generoso e questo mi basta. […] Non c’è niente che mi faccia stare meglio. Invece, quando sono a casa, mi sento vedovo“.

Insomma, da quel lontano 1947, un ancora ingenuo e trasognante Haber, che aveva in mente soltanto una cosa (diventare come Marlon Brando), ne ha fatta davvero tanta di strada. Essere stati talmente tante cose e infine perdersi non è troppo difficile, ma per Haber si potrebbe solamente dire il contrario. E il suo libro ce lo dimostra.

Essere un attore è la cosa più solitaria del mondo” diceva qualcuno. E magari è proprio per questo che spesso non riusciamo a comprenderli fino in fondo.

Scritto da Diego Lanuto.

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