Alfonso Cuarón, lo sguardo d’autore di un regista dallo stile elegante

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Di Redazione Metropolitan

Alfonso Cuarón, classe ’61, fa parte di una grande generazione di registi messicani. Insieme a del Toro e Iñárritu, conosciuti come i tre amigos del cinema, dà vita infatti a una delle più grandi epoche del cinema messicano, che trova in questi tre registi un grande sguardo d’autore. La volontà di Cuarón è sempre stata quella di raccontare attraverso il suo cinema l’uomo, con le sue inquietudini e il suo mondo interiore. Nel farlo ha sperimentato generi diversi: drammatico in “Paradiso perduto”, fantascienza con “I figli degli uomini” e “Gravity”, a cui ha unito il genere dell’avventura in “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, fino ad arrivare a uno sguardo d’autore con “Roma”.

Durante i suoi studi Cuarón ha la fortuna di conoscere validi colleghi che diventeranno poi grandi colleghi. Fra questi Lubezki, con cui lavora nel suo primo film, “Uno per tutte”. Realizzato con un budget contenuto e ottenuto dopo varie traversie produttive, il film riscuote tanto successo da fargli guadagnare attenzioni dagli USA. Decolla dunque la sua carriera, con la realizzazione di due film di produzione statunitense. Ma nel 2001 Alfonso decide di tornare alle origini con “Y tu mamá también”, film interamente messicano con cui ottiene la sua prima nomination agli Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale.

Alfonso Cuarón sul set di "Roma" - Photo credits: iVital
Alfonso Cuarón sul set di “Roma” – Photo credits: iVital

Alfonso Cuarón: premi internazionali e il successo con “Roma”

Dopo la prima nomination agli Oscar, Alfonso sarà candidato al famosissimo premio altre 9 volte. Nel 2014 arriva la sua prima vittoria come Miglior Regista, con “Gravity”, award che vincerà nuovamente nel 2019 con “Roma”. Questa vittoria lo renderà il primo regista messicano a vincere l’Oscar, seguito da Guillermo del Toro nel 2018, quando ha trionfato con il suo film “La forma dell’acqua”. Nonostante i grandi successi di tutti i suoi film, il salto vero e proprio nell’Olimpo dei grandi registi è arrivato con “Roma”. Con questo film oltre agli Oscar (vinti anche per Migliore Fotografia), il regista ha trionfato ai BAFTA, ai David, al Festival di Venezia e ai Golden Globe, catturando l’attenzione di tutto il mondo.

Ma perché “Roma” ha ricevuto tante attenzioni? In parte per la polemica tra le sale e Netflix, piattaforma che lo ha prodotto e distribuito. E’ stato infatti Alfonso Cuarón fra i primi ad aprire le porte di Netflix ai registi di grande spessore, che poi hanno iniziato a collaborare sempre più con il colosso streaming. Sicuramente anche perché in questo film il regista messicano mette a frutto le sue capacità e propone uno sguardo d’autore. Racconta un’esperienza personale, quella della sua infanzia negli anni ’70 nel suo quartiere d’origine a Città del Messico, Roma . In questo film Alfonso ha fatto tutto: sceneggiatura, regia, fotografia, produzione, montaggio. E’ suo in tutto e per tutto. Ma “Roma” non ha mancato di dividere la critica: capolavoro o pura masturbazione artistica? Non c’è una risposta giusta, “Roma” o lo ami o lo odi, ma in ogni caso ne apprezzerai l’indubbio valore.

Piano-sequenza di apertura del film “Gravity” di Cuarón

Lo stile registico di Cuarón: l’importanza del piano-sequenza

Il cinema di Alfonso Cuarón è sempre stato definito come elegante e raffinato, sempre al servizio della storia. Ne avevano capito le potenzialità gli statunitensi, affidandogli due adattamenti letterari agli albori della sua carriera, ma la sua stella ha brillato quando è potuto essere davvero libero. La sua grande capacità nel raccontare sta nel fatto che, come dichiarato da lui, “oltre ad un regista, sono prima di tutto uno scrittore”. Dunque nel tempo ha trovato gli strumenti a lui più congeniali per raccontare le sue storie, e uno di questi è il piano-sequenza, da lui utilizzato innumerevoli volte. Ne ha realizzati molti in “Roma”, alcuni invisibili, uno invece perfettamente visibile: lo spettacolare long take della scena finale, girato interamente in controluce.

Questa è una tecnica che c’è sin dalle origini del suo cinema. Ricordiamo il piano-sequenza di circa 3 minuti in “Y tu mama tambien”, dove la camera trema con imprecisione mentre entra nella vita di questi tre ragazzi che si sentono “in bilico”, come il movimento di camera stesso suggerisce. Ma ricordiamo anche il famosissimo long take all’inizio di “Gravity” della durata di 12 minuti e 30. Qui si parla di un’inquadratura da Oscar che fluttua nello spazio insieme ai protagonisti, e lo spettatore perde qualunque punto di riferimento. Cuarón, che piaccio o no, è un regista che con il suo stile unico è riuscito a farci entrare nelle sue storie. Storie di uomini, come noi.

Paola Maria D’Agnone

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