Amelia Rosselli, poetessa, organista ed etnomusicologa italiana, nasce il 28 marzo del 1930 a Parigi e muore suicida l’11 febbraio del 1996 nella sua casa, dopo essere caduta in una grave depressione.

La vita travagliata della poetessa

Figlia di una madre attivista del partito laburista britannico, e di Carlo, il padre antifascista (fondatore di Giustizia e Libertà) e teorico del Socialismo Liberale, a soli dieci anni Amelia è costretta a fuggire dalla Francia in seguito all’assassinio del padre e dello zio Nello, compiuto dalle milizie fasciste.

Giustizia e Libertà; morte di Carlo e Nello Rosselli – photo by google immagini

Da questo duplice omicidio nascerà il nodo principale della poetica tormentata di Amelia Rosselli. Il centro del problema esistenziale profondo e ingovernabile che accompagnerà per sempre la poetessa. La vicenda la traumatizza e la sconvolge dal punto di vista psicologico.

La morte della madre (1949), insieme ai precedenti drammatici lutti, le causò un esaurimento nervoso. Comincerà a soffrire di ossessioni persecutorie, convinta di essere costantemente seguita dai servizi segreti. Non accettò mai la diagnosi di schizofrenia paranoide che le venne fornita da cliniche svizzere e inglesi.

Dopo aver viaggiato tra Svizzera e Stati Uniti, nel 1946 va in Italia e nel 1948 inizia a lavorare per diverse case editrici di Firenze in qualità di traduttrice dall’inglese.

In seguito cominciò a frequentate gli ambienti letterari romani, entrando in contatto con gli artisti dell’avanguardia del Gruppo 63.

Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove è morta suicida l’11 febbraio 1996 in seguito ad una grave depressione. La scelta della data del suicidio segna probabilmente un nesso con la data di morte di Sylvia Plath, autrice morta suicida l’11 febbraio del 1963 e che la Rosselli tradusse e adorò.

La poetica del lutto di Rosselli

L’episodio tragico dell’uccisione del padre e dello zio, dà vita alla poetica del lutto di Amelia, che si traduce in una traduzione del proprio vissuto. Il suo amore, la sua sofferenza, la scissione dell’io non sono altro che gli ingredienti principali della sua poetica del lutto.

Amelia è rimasta una figura di scrittrice unica per il suo tentativo di fondere l’uso della lingua con l’universalismo della musica.

La musica comunque fa la sua parte
e nell’intendimento di essa risiede
la mia passione
che contorcendosi si
dipinse egualmente spaventata dal lutto
dei suoi grandi occhi e della canzone.

La sua prima raccolta di poesie

Variazioni Belliche è la prima raccolta di poesie di Amelia, edita da Garzanti a Milano nel 1964.

Variazioni Belliche – photo by google immagini

Il termine Variazioni indica il suo riferimento alla tecnica musicale delle “variazioni”, mentre l’aggettivo Belliche allude in particolare alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Ci sono scene in cui rievoca la tensione degli scontri tra partigiani e nazifascisti durante l’occupazione tedesca dell’Italia. La guerra assume delle misure universali, quasi metafisiche, diventando una condizione dell’esistenza umana.

Contiamo infiniti cadaveri. Siamo l’ultima specie umana.
Siamo il cadavere che flotta putrefatto sulla sua passione !
La calma non mi nutriva il solleone era il mio desiderio.

Il mio pio desiderio era di vincere la battaglia, il male,
la tristezza, le fandonie, l’incoscienza, la pluralità
dei mali le fandonie le incoscienze le somministrazioni
d’ogni male, d’ogni bene, d’ogni battaglia, d’ogni dovere
d’ogni fandonia: la crudeltà a parte il gioco riposto attraverso
il filtro dell’incoscienza.

L’intera raccolta costituisce uno dei più brillanti esempi dello sperimentalismo linguistico della poetessa. La sua è una poesia arricchita da una costante ricerca plurilinguistica, sul confine tra prosa musicale e poesia concettuale che va oltre qualsiasi etichetta.

Amore amore che cadi e giaci
supino la tua stella è la mia dimora.
Caduta sulla linea di battaglia. La bontà era un ritornello
che non mi fregava ma ero fregata da essa! La linea della
demarcazione tra poveri e ricchi.