Alcune ricerche hanno portato ad una nuova scoperta: fu un notaio ebreo a denunciare la giovane Anne Frank e la sua famiglia alla Gestapo. I documenti raccolti puntano il dito contro Arnold van den Bergh.

Scoperto il nome del notaio che li denunciò

Un team di 23 persone, tecniche investigative moderne e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per passare allo scan 66 gigabyte di informazioni, hanno condotto alla scoperta di questo nome, che potrebbe essere la chiave di svolta per comprendere le dinamiche di ciò che è avvenuto nell’Annesso Segreto in cui, nel centro di Amsterdam, si nascondeva la famiglia Frank.

L’indagine la più lunga e difficile in cui sia mai stato coinvolto, a detta del detective in pensione dell’FBI Vince Pankoke. La mole di dati, documenti perduti e il l’impossibilità di parlare con i testimoni, in quanto deceduti da tempo, hanno reso questo lavoro una missione (quasi) impossibile.

“Chi ha tradito Anne Frank”? La storia del notaio e delle dinamiche con i Frank

Nel libro di Rosemary Sullivan “Chi ha tradito Anne Frank” (edito da HarperCollins) sono stati raccolti i risultati dell’indagine, che nasconde tantissimi dettagli. A quanto pare, però, il giudizio sul notaio ebreo è relativo. Probabilmente la sua denuncia scaturì dal semplice desiderio di voler proteggere la sua famiglia dalla minaccia della deportazione.

Van den Bergh avrebbe trasmesso indirizzi segreti ai tedeschi per salvare la sua stessa famiglia. Le prove non sono fondate, eccetto per alcune ritrovate testimonianze di Otto Frank, il padre di Anne, che sospettava di lui.

Il Jewish Council aveva stilato elenchi di indirizzi di famiglie ebree, nel tentativo di mostrare ai tedeschi che stava collaborando. Van den Bergh era tra i membri di questo organismo, e come tale, ha tentato di sfruttare la sua posizione per salvare la sua famiglia, a discapito di un’altra. Come membro del Consiglio, Van den Bergh aveva fatto di tutto per ottenere una tregua alla deportazione.

Fu così che l’indirizzo dei Frank finì nelle mani di un ufficiale delle SS tedesche, motivo per cui il 4 agosto del 1944, i soldati irruppero nell’annesso segreto, che sembrava un rifugio più che sicuro.

Poi, nel luglio del 1947, quando ancora la magistratura olandese e le diverse commissioni giudiziarie erano impegnate a scovare e perseguire i criminali di guerra e i collaboratori dei nazisti, il Pra (Politieke Recherche Afdeling, Dipartimento investigativo politico della polizia) avviò le prime indagini. Da questa prima indagine spuntò fuori il nome del magazziniere Willem van Maaren.

Nell’aprile del 1948, “gli indizi a suo carico risultavano molto vaghi”, secondo il Pra, dunque l’uomo venne assolto.

Arriviamo agli anni cinquanta, quando il Diario di Anne fa il giro del mondo e diviene un successo internazionale, rendendo Anne Frank il volto simbolo dello sterminio nazista. Otto Frank (unico sopravvissuto della famiglia) si dedicò a proteggere il libro della figlia dagli attacchi dei negazionisti, facendo in modo che la memoria di Anne e della sua famiglia fosse preservata nel tempo.

Arriviamo ai giorni nostri, nel 2019. Dopo aver seguito una serie lunghissima di possibili piste, tra tutti gli indagati l’unico nome che rimaneva saldo, soprattutto perché supportato dai vecchi sospetti espressi da Otto, era quello di Arnold van den Bergh.

Impossibile, come racconta anche la Sullivan all’interno del suo libro, esprimere un giudizio morale su un uomo che stava solo cercando di salvare la sua famiglia, come stava facendo Otto con la sua.

La colpa, come in tutte le indagini sulle tragedie dello sterminio nazista, è fondamentalmente attribuibile solo al carnefice. Per chiunque voglia approfondire, in ogni caso, consigliamo la lettura del romanzo.