James Wan, regista noto al grande pubblico per aver prodotto alcuni tra gli horror più di successo degli ultimi due decenni, si è inconsapevolmente preso carico di un pesante fardello: mettere la parola fine ad universo cinematografico durato dieci anni, quello della DC. Un universo problematico, discontinuo e controverso, vittima di numerosi e continui cambi di direzione oltre che di scandali. Involontariamente, perché questo secondo Aquaman e il Regno perduto non era previsto come ultimo capitolo del personaggio men che meno come ultimo prodotto ufficiale appartenente all’ormai fu DCU.
Dal 2025, infatti, Superman : Legacy darà vita ad una (presunta) nuova gestione della DC cinematografica, con un nuovo ciclo di film ed una nuova versione di personaggi iconici e non, capeggiata da James Gunn e Peter Safran. Questo secondo Aquaman, quindi, si ritrova senza volerlo a segnare la chiusura di questa precedente gestione, avviata da Zack Snyder per poi essere spostata fra mani e menti diverse. La domanda che viene da porsi è: questa chiusura ci appare, almeno un minimo, soddisfacente?
Aquaman e il regno perduto: la conclusione innocente di un universo problematico – La trama del film
Aquaman e il regno perduto riprende grosso modo dove lo avevamo lasciato alla fine del primo capitolo. Arthur (Jason Momoa) è diventato padre, e prova a dividere i suoi doveri e oneri tra la responsabilità di guidare il regno di Atlantide e la responsabilità di crescere un figlio insieme a Mera (Amber Heard), personaggio tra l’altro problematico a causa degli scandali riguardanti l’attrice, il cui minutaggio è stato ridimensionato senza però rimuovere segmenti importanti di trama. La stasi raggiunta dall’eroe, però, viene messa in crisi dal ritorno di Black Manta (Yahya Abdul-Mateen II), nemesi generata nel primo capitolo, che non metterà solo in pericolo il regno di Atlantide, ma l’intero mondo (con un non troppo velato riferimento al surriscaldamento globale). Per fermare questa minaccia, Arthur sarà costretto ad allearsi con il fratello/nemico Orm (Patrick Wilson).
La trama di questo film si basa su un canovaccio molto semplice e generico, pesca a piene mani da specifici film della Marvel, in particolare Thor : The dark world che è un po’ l’ispirazione massima, perché il personaggio di Jason Momoa è sempre stato un po’ il Thor della DC, così come Orm fa un po’ le veci di un Loki meno ispirato. Così come Atlantide emula i problemi burocratici di una società fantasma nascosta in piena vista allo stesso modo del Wakanda in Black Panther. E poi Star Wars e molto altro. È un film che pesca a piene mani dalla cultura pop moderna e del passato (passato recente, si intende) con il risultato di presentarsi poco originale ed anzi pienamente derivativo, consegnando l’ennesimo, teoricamente ultimo, cinecomic svogliato e prodotto senza particolari criteri.
La semplicità come arma a doppio taglio, una conclusione priva di enfasi
Una cosa che in un altro contesto avrebbe puntato a favore di questo film è proprio la sua semplicità ; perché una volta tanto abbiamo un film effettivamente incentrato sul suo protagonista e sul suo microcosmo, senza andare a cercare l’aiuto di altri eroi, camei e quant’altro. Un prodotto simpatico, a tratti divertente, che sa di non essere speciale e non ambisce ad esserlo, a cui si vuole bene proprio per la sua simpatia. Ma quanto sa di poco, però, per essere l’ultimo film di questo universo, che se ne va sicuramente in modo innocente, senza disseminare indizi o lasciare ipotetici finali aperti per il futuro, ma quanto risulta generico ed anti climatico se ci si pensa. Quanto meno, pur lasciandosi qualche porta aperta, si può considerare tranquillamente concluso il personaggio di Arthur Curry, che come altri è tornato per farci un ultimo saluto prima di questo fantomatico reset.
Certo, non ce ne voglia Jason Momoa, ma mai come in questo film, Patrick Wilson risulta essere non solo più carismatico ed interessante (almeno concettualmente) ma sembra quasi impossibile non pensare a quanto sarebbe risultato perfetto per un’incarnazione più tradizionale e sobria del personaggio di Aquaman, inevitabilmente profondamente riadattato in questo universo. Per il resto, come già detto, Aquaman e il regno perduto è un film semplice, privo di un qualsivoglia spunto creativo, probabilmente tagliato e riscritto a più riprese, considerando che la caratterizzazione del protagonista è più volte cambiata nel corso degli anni, e che nonostante la regia di James Wan non presenta nessun pregio nemmeno sul versante tecnico, anzi finisce col risultare addirittura confuso in alcuni frangenti.
È la lapide di un universo già deceduto da anni, trascinato per inerzia nella speranza di un ritrovato successo mai davvero raggiunto, ma che finalmente può dirsi concluso e lasciar spazio a qualcosa di nuovo e (si spera) migliore.
Francesco Ria
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