Arpad Weisz, l’allenatore vincente vittima dell’Olocausto

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Di Redazione Metropolitan

Questa è la storia di Arpad Weisz, uno degli allenatori più di successo degli anni ’30, che vide stroncata la propria carriera dagli orrori dell’Olocausto. I tre scudetti vinti con Inter e Bologna, il trasferimento in Olanda e poi la deportazione nei campi di concentramento: la furia nazista non ha però lasciato scampo al mister ungherese. Ecco la promettente, seppur breve, carriera di Arpad Weisz.

Oggi 27 gennaio ricorre in Italia la “Giornata della Memoria“, scelta per commemorare le vittime della furia nazifascista dei campi di sterminio. Difficilmente queste storie sono solite intrecciarsi con lo sport, e in particolare con il calcio; ed è per questo che abbiamo scelto di raccontare la storia di Arpad Weisz, allenatore ungherese di origini ebraiche vittima dell’Olocausto. Calciatore e mister di successo, Weisz ha portato ottimi risultati ovunque abbia messo piede, anche nelle realtà calcistiche più impensabili, come alla fine della sua carriera.

La breve carriera di un tecnico vincente

Un vero e proprio rivoluzionario, Arpad Weisz. Probabilmente, se non fosse stato per questa tragica fine, la sua carriera sarebbe proseguita con successo e lo avrebbe reso uno dei più importanti tecnici della storia. Per capirci, alla pari di Helenio Herrera e Vittorio Pozzo, con il quale si dedicò anche alla stesura di uno storico libro: Il giuoco del calcio. Weisz, nato in Ungheria da genitori ebrei, vive una breve, ma intensa, carriera da calciatore con sei presenze all’attivo nella propria Nazionale. Il suo grande exploit, però, lo ha quando comincia a vestire giacca e cravatta e a sedersi in panchina.

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L’Inter di Arpad Weisz (Credits: Wikipedia)

Dopo qualche mese da vice all’Alessandria, Weisz viene chiamato sulla panchina dell’Inter: proprio a Milano cominciano i primi successi. Sebbene infatti le leggi razziali avessero costretto l’ungherese a “italianizzare” il suo cognome in Veisz e i nerazzurri a rinominarsi come Ambrosiana, nel 1930 arriva il primo successo. A soli 34 anni infatti (record ancora imbattuto), Arpad diventa il più giovane allenatore a conquistare il tricolore nella storia del campionato italiano. La rivoluzione nei metodi di allenamento, nella dieta e nello scouting ha portato un grande cambiamento nella concezione del calcio in Italia.

In particolare, l’attenzione verso la primavera e le leve più giovani dei nerazzurri da parte di Weisz si è rivelato fondamentale per i destini successivi dell’Inter e della nazionale italiana. A soli 17 anni infatti fa esordire Giuseppe Meazza, garantendo che sarebbe diventato un grande cannoniere: e infatti tre anni dopo vince la classifica marcatori, per poi imporsi col tempo come una vera e propria leggenda a Milano e in tutto lo stivale.

Il trasferimento in Olanda e la deportazione

Dopo un via vai tra Bari, di nuovo Inter e Novara, Weisz va a Bologna e con soli quattordici giocatori in rosa riuscì a conquistare il terzo scudetto della storia del Bologna. Questo del 1936, è lo scudetto che lo ha reso il primo allenatore a vincere il tricolore con due compagini differenti; l’anno successivo otterrà per la seconda volta consecutiva il successo con i rossoblù. Con le leggi razziali però, nel 1938, fu costretto a lasciare l’Italia, rifugiandosi prima a Bardonecchia, poi a Parigi e Dordecht, nei Paesi Bassi, dove riprende ad allenare. Si conquistò la fama di eroe in questa piccola località, ottenendo il quinto posto e dando lezioni di calcio a squadre ben più blasonate come Utrecht e Ajax.

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Arpad Weisz, vittima dell’Olocausto (Credits: Radio Gold)

Nel 1942, però, con la conquista da parte della Germania dei Paesi Bassi, Weisz e famiglia furono costretti a lasciare lavoro e scuola e ben presto vennero prelevati dalla Gestapo. I due figli e sua moglie, appena arrivati ad Auschwitz trovarono la morte delle camere a gas; l’allenatore invece, costretto per quindici mesi ai lavori forzati, diventò vittima della vergogna dell’Olocausto il 31 gennaio 1944. Un uomo di calcio vincente e rivoluzionario, che merita di essere ricordato nella Giornata della Memoria: neanche lo sport deve dimenticare.

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