Arthur Rimbaud, è il poeta che con Charles Baudelaire e Gérard de Nerval ha più contribuito alla trasformazione del linguaggio della poesia moderna. Tanto giovane quanto inquieto, ha vissuto in perenne conflitto con la società in cui viveva, non accettando ruoli e costrizioni. Poeta “maledetto” che si è conquistato un posto nell’Olimpo della poesia dell’ ‘800, attraverso il suo genio ribelle.
Vita sofferta e amori conflittuali
Arthur Rimbaud, nasce in una piccola città in Lorena vicina a Metz, Charleville. Suo padre era un ufficiale dell’esercito e sua madre apparteneva a una famiglia di proprietari terrieri. Il piccolo Arthur ha sei anni quando i suoi si separano. Cresce con la madre molto severa e manifesta presto un sentimento di rivolta e un desiderio di fuga. Al Collegio di Charleville è un allievo brillante, ma in casa si sente oppresso. La guerra mette fine ai suoi studi e Rimbaud inizia a manifestare il suo anticonformismo e la ribellione contro l’ordine stabilito che lo porterà a scappare di casa nel 1870 per dirigersi a Parigi.
Arrestato dalla polizia viene liberato grazie all’intervento del suo professore di retorica. Nel 1871 si reca di nuovo a Parigi in piena insurrezione della Comune. Affascinato dalle sue poesie, Rimbaud scrive a Verlaine chiedendo di incontrarlo. Un incontro che cambierà la vita del giovane poeta per sempre. Tra i due inizia una relazione e con questa anche un periodo di dissolutezza tra alcol e droga. L’avventura tra i due poeti finisce però male. Tempo dopo Verlaine, ubriaco, spara all’amico ferendolo. Conclusa la relazione con Verlaine, Rimbaud torna da sua madre e scrive un’autobiografia in prosa poetica in cui racconta il suo fallimento. Lontano dalla poesia, Rimbaud conosce tutte le difficoltà dell’esistenza. Da allora, riprende il suo vagabondare, che lo porta fino in Africa. Colpito da un tumore al ginocchio torna in Francia per farsi curare ma muore a Marsiglia nel settembre del 1891 per le conseguenze dell’amputazione.
Arthur Rimbaud, il poeta “veggente”
Rimbaud esprime il bisogno di rivolta, di opposizione assoluta e violenta contro la società e la cultura del suo tempo. La sua carriera folgorante avvenuta nello spazio di sei anni, tra 14 e 20 anni, rivoluziona l’idea della lingua e della poesia. Alunno brillante ma ribelle, Rimbaud inizia a scrivere a soli 14 anni le sue prime poesie. La sua genialità viene subito riconosciuta e diventa giovanissimo una figura importante della poesia moderna. La sua opera è strettamente legata alla sua sfera personale. Smette di scrivere a soli 20 anni, cercando di trovare un po’ di equilibrio nella sua vita.
“Voglio essere poeta, e lavoro a rendermi Veggente: lei non ci capirà niente, e io quasi non saprei spiegarle. Si tratta di arrivare all’ignoto mediante la sregolatezza di tutti i sensi. Le sofferenze sono enormi, ma bisogna essere forti, essere nati poeti, e io mi sono riconosciuto poeta. Non è affatto colpa mia. È falso dire: Io penso, si dovrebbe dire: mi si pensa. Scusi il gioco di parole. IO è un altro”.
Arthur Rimbaud, lettera al prof. G. Izambard, 13 maggio 1871.
Una stagione all’inferno, composto nel 1873 è l’unico libro del quale ha personalmente seguito la pubblicazione. Testimonianza della sua relazione difficile con Verlaine, quest’opera è un racconto in prosa, di un viaggio dei sensi e dello spirito verso l’ignoto. Raggruppa i suoi versi nel 1891, in un unico volume, sotto il titolo di “Poesie”. Qui Rimbaud esprime la sua rabbia ed il suo bisogno di rivolta. Preso dalla “bohème” e dalla libertà denuncia le ingiustizie, manifesta l’orrore della guerra e il rifiuto della società borghese. Anima irrequieta e sovversiva, attraversa decadentismo, simbolismo, surrealismo. Influenzato inoltre da libri di alchimia ed occultismo, comincia a concepire se stesso come un profeta. Nelle “Lettere del veggente”, elabora quindi la concezione secondo cui l’artista deve conseguire la “confusione dei sensi”.
Con Lettere del veggente nel 1886, Rimbaud abbandona la poesia in versi. L’ultimo poema è “Addio” nel quale esprime la constatazione della sconfitta. Rimbaud ha preso coscienza del fatto che nessuno, neanche un poeta, può cambiare il mondo. Bisogna rassegnarsi ed accettarlo com’è. Rimbaud diventa così il più grande e integrale interprete poetico della crisi nichilistica e, come molti autori dei tempi di crisi, è caratterizzato da una potente ambiguità.
“La morale è la debolezza del cervello”
Ilaria Festa
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