Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Toscana, Campania. Ma ce n’è una in quasi ogni regione: sono in totale 120 le basi Nato presenti sul suolo italiano. La ragione è l’assoluta centralità della penisola nel Mediterraneo. Il ruolo strategico e l’importanza diplomatica di basi come Sigonella e Camp Darby, nel delicato frangente geopolitico contemporaneo, ci ricorda come il nostro paese ospita uno dei contingenti esteri più nutriti. Una storia, quella delle basi Nato, non lontana dalle polemiche e dai riflettori fin dal 1951, anno della sottoscrizione di un’intesa speciale tra l’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico e il nostro paese, passando per la questione Sigonella e lo scacco di Craxi. Perché ci serve ricordare la centralità nevralgica del nostro Paese e l’irrinunciabilità di una voce italiana sulle decisioni Nato.
Le basi Nato: dal 1951 ad oggi sarebbero 120, ma alcune coperte da segreto: armi nucleari, contingenti americani, progetti di massima sicurezza
Particolari le ragioni che hanno portato, nel lontano 1951, la sottoscrizione del trattato che ha ceduto suolo italiano all’amministrazione militare di uno stato estero. Ma poco oltre la Penisola la “cortina di ferro” spaventava non solo l’Europa occidentale, ma anche il gigante statunitense al di là dell’Atlantico. La “paura rossa”, sensata o meno che fosse, era contestualizzata in un clima di tensione che non dobbiamo mai sottovalutare, soprattutto se guardiamo al presente, dove lo stesso “nemico” di una volta, cambiato nome e faccia, minaccia ancora con lo spauracchio della “terza guerra mondiale”. Tuttavia, non è più il 1951, e sono ben 120 (più un’altra ventina, coperte però dal segreto militare) le basi Nato diffuse sul nostro Paese. 13 mila circa i militari di stanza, pronti alla mobilitazione, come già avvenuto per le operazioni in Kosovo e in Serbia.
La più importante tra le basi è indubbiamente quella di Sigonella, presso Catania. Ascesa agli onori delle cronache durante la crisi di portata internazionale che ha visto protagonista l’allora segretario del Partito Socialista Italiano, Bettino Craxi, in diretto contrasto con le disposizioni relative alla consegna alla Delta Force dei terroristi colpevoli di aver sequestrato il transatlantico “Achille Lauro”. Evento che ha segnato la memoria di moltissimi e che ha elevato ad un ruolo protagonistico il nostro Paese. Anche oggi, con l’eventualità di un allargamento (e soprattutto, del coinvolgimento Nato) del conflitto che da alcuni mesi ha travolto l’Ucraina, il nostro Paese deve puntare a un ruolo decisionale non sindacabile.
Perché le basi sono una ragione in più per arrogarsi un ruolo decisionale all’interno del Consiglio del Nord Atlantico
Le basi Nato non sono soltanto caserme per le truppe internazionali di stanza in Italia. Spesso, molto di più, da un punto di vista non solo prettamente strategico. A La Spezia, ad esempio, c’è il “Centro per la ricerca marittima e la sperimentazione”, che si occupa di ricerca e sviluppo in campo navale e marino. A Camp Darby, vicino Pisa, mille ettari di suolo sono dedicati allo stoccaggio e al deposito di munizioni, missili a lunga gittata, esplosivi. Vicino Napoli è di stanza l'”Allied Joint Force Command”, uno dei centri nevralgici di importanza fondamentale e che amministra anche l’intera VI flotta della Marina USA, come a Taranto, dove si trova il comando delle forze navali e anfibie italiane sotto controllo nord-atlantico. A Ghedi, alcuni km da Brescia, sarebbero stoccate alcune decine di armi nucleari.
Sul nostro Paese, insomma, non manca il contingente. Ma proprio questo contingente dovrebbe permetterci di esigere un controllo più stringente sul Consiglio del Nord Atlantico, principale organo politico e decisionale della Nato. Sebbene in molti italiani siano, come spesso comprensibile, in diretto contrasto con la costruzione e il mantenimento di queste basi, va comunque notato che ogni “pezzo” americano in Italia rappresenta un’opportunità di mediazione e di centralità politica all’interno del Consiglio. Così come fece Craxi nel 1985, all’alba di un periodo di innegabile tensione, è giunto forse il momento di riacquisire un ruolo centrale sullo scacchiere internazionale.
Alberto Alessi
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