Blowin’ in the wind, la controcultura di cui abbiamo ancora bisogno

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Di Redazione Metropolitan

La celebre canzone pacifista e antimilitarista a cui Bob Dylan viene maggiormente ricollegato possiede una forza enorme. Il messaggio che contiene ha avuto dei precisi connotati nel periodo storico in cui è stata scritta, ma “Blowin’ in the wind” ha un forte significato morale ancora oggi, a più di cinquant’anni dalla sua pubblicazione.

Blowin’ in the wind – Il manifesto della canzone di protesta

É un giovanissimo Bob Dylan l’autore di “Blowin’ in the wind“, un ragazzo di ventun anni che parla di diritti civili e si schiera contro la guerra con una sfrontatezza che solo un futuro attivista possiede orgogliosamente. La canzone è stata scritta nel 1962, nel pieno del periodo della politica dei blocchi che caratterizza la Guerra Fredda. Una politica altrettanto fredda e cinica dove i diritti umani e le politiche giovanili non trovano spazio: è la canzone di protesta, di cui Dylan si farà esponente, a mettere a fuoco le mancanze e le speranze di una società dimenticata.

L’album che include la canzone è “The Freewheelin’ Bob Dylan” del 1963 ed è proprio questo il brano che apre il disco. La canzone diventa il manifesto degli anni ’60, il disco è quello che stravolge la visione che il pubblico ha di Bob Dylan, che di lì a poco oltre che solo un buon artista folk diventa voce di una gioventù disillusa che non sa come chiedere il proprio spazio. Ma oltre a ciò, Dylan canta l’amara consapevolezza di chi agisce in modo compiacente a far sì che le ingiustizie continuino a compiersi:

“How many times can a man turn his head, pretending he just doesn’t see? / The answer, my friend, is blowin’ in the wind.”

Blowin' in the wind
Blowin’ in the wind. Immagine web.

Una riflessione filosofica e sociale ancora attuale

Ma come ha raccontato lo stesso Bob Dylan, parte della melodia della canzone si ispira ad un canto popolare che inneggia alla libertà degli schiavi africani: prima di un significato sociologico (importantissimo) c’è dunque una filosofia e un’analisi sulla libertà e sul senso della vita (“How many roads must a man walk down before you call him a man?“); probabilmente questa è la prima impronta che la canzone lascia su ognuno di noi e che l’ha resa così famosa da essere reinterpretata da artisti del calibro di Etta James, Bruce Springsteen, Elvis Presley ed il nostro Luigi Tenco.

L’impatto sociale di “Blowin’ in the wind” non è invecchiato a più di cinquant’anni dalla sua nascita, perché la storia si ripete, i giovani di oggi sono nuovamente in balìa di politiche che cancellano il loro futuro ed esiste ancora chi rimane indifferente ai soprusi che vede. C’è ancora un grande bisogno di smuovere le coscienze e bisogna ancora lavorare tantissimo per garantire uguaglianza ed equità a tutti. Si tratta di problemi universali che affliggono in forme diverse ogni società di ogni decennio, con soluzioni complicate nella pratica e lotte da mettere in atto per raggiungerle. Ma ricordiamoci che la risposta esiste se abbiamo la forza e la voglia di carpirla…the answer is blowin’ in the wind.


Francesca Staropoli

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