Bridgerton 2 la recensione: ma perché ci piace così tanto?

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Di Carola Crippa

Bridgerton 2 è finalmente arrivata su Netflix. La serie, prodotta in collaborazione con Shonda Rhimes, con la prima stagione aveva toccato notevoli risultati, diventando una delle più viste sulla piattaforma. L’attesa per un nuovo capitolo era, quindi, moltissima, viste le alte aspettative del pubblico. Soprattutto, la curiosità principale riguardava il cambio dei protagonisti, vista la conclusione dell’arco narrativo di Daphne e del duca di Hastings. A sostituirli il visconte Anthony Bridgerton (interpretato da Jonathan Bailey), fratello di Daphne, e Kate Sharma (interpretata da Simone Ashley). Il nuovissimo capitolo avrà mantenuto le aspettative? Ecco la nostra recensione della seconda stagione senza spoiler.

Bridgerton 2 tra musica, colori e costumi

Le ambientazioni coloratissime, i vestiti esagerati e dai toni accesissimi e la colonna sonora sono stati l’elemento chiave che ha differenziato Bridgerton da altri period drama, rendendo il prodotto pop e accessibile. Anche in questa stagione ritroviamo una fotografia dall’estetica colorata e accesa, che risalta il gusto quasi parodistico e assurdo del tono della narrazione. Le parrucche e le acconciature intricate, i costumi ricchi di ornamenti e orpelli sono presenti anche nel nuovo capitolo, nonostante qualche imprecisione storica nella loro realizzazione. Nota di merito è sicuramente la colonna sonora che, come nella prima stagione, è composta da adattamenti in chiave classica di canzoni pop. In questa stagione troviamo delle versioni di Material Girl, Sign of the Times e Wrecking Ball che diventeranno sicuramente iconiche. Le aspettative, quindi, in quest’ambito non rimangono assolutamente disattese.

La seconda stagione di tra storyline più coerenti e nuovi protagonisti

Per quanto riguarda la trama e la narrazione, senza fare nessuno spoiler, siamo di fronte ad una stagione più coesa e omogenea di quella precedente. Se nel primo capitolo, infatti, lo spettatore era rimasto disorientato dall’improvviso cambio di tono a metà della serie; qui ci troviamo di fronte ad uno sviluppo della trama abbastanza buono e lineare. Non c’è il cambio improvviso che va da period drama fatto da sguardi e tocchi fugaci ad una serie più esplicita e sensuale.

La storia tra Anthony e Kate si sviluppa in maniera coerente con scioglimenti della tensione tra i due che però non vanno mai a segnare bruschi cambiamenti di stile. Interessanti anche le backstory dei personaggi, le cui motivazioni risultano essere credibili e sensate. Forse, per rendere più movimentata e chiara la storia delle sorelle Sharma era necessario inserire qualche flashback più esplicativo.

Tuttavia, nonostante qualche momento un po’ trash e con una regia un po’ da harmony, questa stagione risulta molto più godibile della precedente. Frequenti sono i rimandi e gli occhieggiamenti ad Orgoglio e Pregiudizio. I dialoghi e i battibecchi, gli sguardi e i pregiudizi che entrambi i protagonisti hanno sono richiami evidenti all’opera di Jane Austen.

Inclusività e attualità

Anche in questa stagione Shonda Rhimes ha inserito degli elementi che strizzano l’occhio a tematiche attuali e al tema dell’inclusività. A partire dalle protagoniste: le sorelle Sharma nei libri di Julia Quinn sono le sorelle Sheffield, bianche e inglesi. Nella serie, invece, sono indiane e sono arrivate in Inghilterra per salvare le sorti della famiglia. La loro caratterizzazione è molto buona. Infatti, vi sono elementi della cultura indiana che vengono riproposti molto spesso. Kate parla in Hindi, ed è educata sia sulla cultura occidentale che su quella indiana, nei costumi vi sono elementi che richiamano il loro luogo di origine e, in una delle scene delle ultime puntate, c’è un rituale pre-nunziale tipico della cultura hindu: la cerimonia dell’Haldi. 

Femminismo ante-litteram

E continuano anche gli elementi più femministi della serie, in particolare grazie al personaggio di Eloise. Il ruolo di lady, infatti, le sta stretto e si sente costantemente inadeguata durante la sua presentazione in società. Eloise non desidera sposarsi e imparare una serie di attività e nozioni per far colpo su un uomo. Se nella serie vediamo nobildonne che sfoggiano le loro abilità nelle lingue, nella poesia e i loro interessi per la lettura con lo scopo esclusivo di trovare un marito, Eloise, invece fa tutte queste cose per il gusto di farle e non per attirare l’attenzione su di sé.

Questo resta tuttavia un tema che non viene problematizzato: il motivo per cui le nobildonne, e più in generale le donne, devono comportarsi seguendo questi schemi è per la loro mancanza di diritti in una società che le considerava solo in funzione degli uomini. Eloise (ma anche Penelope, per certi versi), appaiono come un’eccezione alla regola, inserite per strizzare un occhio ad una narrazione femminista che però alle volte stride con un plot non sempre progressita.

La storyline di Eloise, però, è comunque molto interessante. Per indagare sull’identità di Lady Whistledown, entrerà in contatto con il fermento creato dai pamphlet politici del tempo. Si cita, tra tutti, Mary Wollstonecraft, madre di Mary Shelley che con il suo “A Vindication of the Rights of a Woman” è considerata la fondatrice del femminismo liberale. Eloise, quindi, si aprirà ad un mondo forse più adatto al suo carattere e al suo modo di essere, mettendosi anche in questione grazie all’incontro con Theo Sharpe, garzone e scrittore che la farà riflettere sul suo privilegio di classe. 

In conclusione

Questa stagione, quindi, nonostante gli alti e bassi, risulta più coerente e lineare della prima, anche se forse meno esplosiva. Tuttavia, rimane un prodotto estremamente godibile e leggero con un’estetica pop e riconoscibile e il marchio di fabbrica distinguibile di Shonda Rhimes. 

Carola Crippa

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