Cannes 2024: Palma d’Oro e fantomatici valori cinematografici

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Di Alessandro Libianchi

Cannes 2024 arriva alla sua naturale conclusione. Un’edizione che conferma il trend intrapreso, soprattutto negli ultimi anni, da Cannes. Quello del festival si, artistico ed elitario, ma anche popolare e industriale. E mentre si millantano perdite di fantomatici valori cinematografici – ma quali sono, di grazia, questi valori cinematografici? -, Cannes convince. A metà tra l’arthouse e il popolare, la Croisette fa vincere il film che è specchio e immagine del festival stesso. Anora, di Sean Baker, mischia diversi modi di intendere il cinema. Tra i neon e i temi metropolitani appannaggio di un certo tipo di cinema moderno – Neon (gioco di parole non voluto) e A24 fanno da padroni – e la commedia nera dal ritmo serrato. Magari non il film più spiazzante, non il “migliore”, non il più divisivo. Ma sicuramente quello che, di certo, non farà sfigurare il festival.

E convince anche Greta Gerwig con la sua gestione da presidentessa di Giuria. Riporta la palma d’oro in terra americana attraverso il cinema indipendente. Quello che lo è per davvero. Perché Sean Baker, figlio di una scuola indie, spalanca le porte all’alloro di Cannes anche a quel mondo nato con il Mumblecore e cresciuto a pane e strapotere industriale.

Cannes 2024: i film

Cannes 2024: la giuria del concorso

E Cannes è stato, anche grazie alla Gerwig, il trionfo del cinema al femminile. Ben 9 film in concorso presentavano tematiche legate al femminile o con protagoniste donne. E lo fa senza forzature e costrizioni, ma rappresentando condizioni tutte diverse e in modi altrettanto eterogenei. A partire da Sorrentino con Parthenope – primo film del regista con protagonista femminile. Sarà solo un caso? – che usa la bellezza eterea della donna per rappresentare quella della sua Napoli. O l’interessantissimo The Substance di Coralie Fargeat con Margaret Qualley e Demi Moore che ragiona sulla decadenza del corpo. E lo fa attraverso il body horror, proprio davanti al maestro del genere Cronenberg, in concorso con il suo pallido The Shrouds. E anche Emilia Perez di Jacques Audiard, che sembra essere il film più ambizioso dell’edizione, ragiona di femminile e di genere unendo, appunto, i generi. Musical, tematiche transgender e narco traffico tutti insiemi appassionatamente nel film che segnerà la prossima stagione in sala. E infatti, da lì escono le quattro vincitrici ex-equo della miglior attrice protagonista: Karla Sofía Gascón, Selena Gomez, Adriana Paz e Zoe Saldana.

Peccato solo per i grandi maestri, come Coppola. Il film ha completamente spaccato la critica in due tra chi lo elogia a capolavoro contemporaneo e chi lo disintegra, e sarebbe stato quanto mai divertente vederlo a premio proprio per questo motivo. Ma se la logica del 50/50 della stampa è stata seguita anche dalla giuria, difficilmente tutti i membri sarebbero stati parte dello schieramento “capolavoro”. Peccato anche per The Seed Of The Sacred Fig di Mohammad Rasoulof, cineasta iraniano che fa della lotta politica la sua ragione di vita e di cinema. Relegato al solo premio speciale per premiare le intenzioni, più che il film. E il non esaltante Lanthimos, che viene alla Croisette più per partecipare per spirito di aggregazione che per gara (a proposito, qui la nostra recensione di Kinds of Kindness).

E l’Italia, invece?

Se lo scorso anno ci siamo presentati con le armi pesanti con Moretti, Bellocchio e Rohrwacher, quest’anno di colpi ne spariamo uno solo, Sorrentino. Ma il nome non basta e torniamo, almeno nel concorso principale, a mani vuote. Sorrentino sembra, infatti, convincere più quando racconta che quando mostra. Vince invece Minervini nella sezione Un Certain Regard per la miglior regia al suo primo film di finzione dopo cinque documentari. E per veder rappresentato un gigante della nostra storia cinematografica ci siamo dovuti affidare ad un francese, Christophe Honoré che omaggia il mito di Mastroianni in Marcello Mio! attraverso la somiglianza quasi inquietante della figlia Chiara. Ma vorrà dire che, a Venezia, la sfilza di cinema nostrano sarà prepotente. Giusto? Sta a voi decidere se è una cosa buona oppure no.

Alessandro Libianchi

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