Carmelo Bene e il teatro della Phonè

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Di Redazione Metropolitan

Scrivere e riflettere di Carmelo Bene è compito assai arduo. Specialmente ai giorni nostri, raccontare di un teatro così distante e diverso da quello che siamo abituati ad intendere sembra essere operazione non facile. La sua parsimoniosa e avvincente ricerca sulla Phonè, ha rivoluzionato per sempre il teatro del ‘900. Non esiste, e mai più esisterà, un creativo che ha scardinato le regole e le strutture riconosciute dal sistema-teatro internazionale.

Il teatro della Phonè (che in greco significa “voce“, “suono“) fa decadere per sempre l’idea del teatro come rappresentazione. Lascia spazio ad una voce di dentro, inumana, che scavalca impetuosamente il teatro delle marionette, dei ruoli, dell’io onnipresente e delle sue miserevoli conflittualità.

Carmelo Bene in Pinocchio - Photo Credits: web
Carmelo Bene in Pinocchio – Photo Credits: web

Carmelo Bene e il teatro avanguardistico

Assistere alle performances della macchina attoriale salentina è un’esperienza unica nel suo de-genere. Ancor di più quando ci troviamo ad analizzare il comportamento di Carmelo Bene nei confronti del suo teatro avanguardistico. Egli si spinge a far fuori senza mezze misure il linguaggio e la comprensione. La Phonè è quindi una pratica che aiuta a disinnescare ogni tentativo di immedesimazione, di parte o di ruolo.

Finalmente è la voce a farsi largo sul palco, usando spesso strumentazioni sonore oltre ai diecimila watt di potenza. E poi ancora sofisticatissime apparecchiature elettroniche costituite da amplificatori, microfoni ipersensibili e microspie con cui cerca la manipolazione tecnica del significante. Sacrificando e superando le varie dimensioni linguistiche e comunicative.

Un nuovo modo di concepire la musicalità a teatro, disponendo anche del suo talento e del suo fornito repertorio vocale. Si tratta di una disarticolazione dell’atto linguistico che altera la comunicazione e consente di interloquire direttamente da un interno (quello dell’attore in scena) a un altro interno (quello dello spettatore in sala). Alcuni ricorrenti esempi di questo abbandono corporeo della voce, sono presi dalle opere scultoree del Bernini. La Beata Ludovica Albertoni, ammirabile nella chiesa di S. Francesco a Ripa in Roma o la Transverberazione di S. Teresa in Santa Maria della Vittoria.

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Carmelo Bene in camerino prima di andare in scena con ‘Riccardo III” a Roma il 17 gennaio 1978 – Photo Credits: ANSACarmelo Bene in Pinocchio – Photo Credits: webCarmelo Bene in camerino prima di andare in scena con ‘Riccardo III” a Roma il 17 gennaio 1978 – Photo Credits: ANSA

Carmelo Bene e gli studi su Nietzsche

La vittoria e la soddisfazione di Carmelo Bene sta in questo alone del suono di una letturatura intesa come oblio. Già nel teatro dei greci si può ripescare questa pratica del parlare amplificato. Eppure, in quei teatri, l’acustica era delle migliori. Loro avevano comunque il bisogno di “vestire” la voce con l’ausilio di un megafono benchè non suonasse umana. Paradossalmente, il massimo di amplificazione sonora, che sembra spacciare ogni comprensione, coincide col massimo di penetrazione acustica. Carmelo Bene così ci spiega il processo:

L’amplificazione non è assolutamente un ingrandimento, ma è come guardare questa pagina. Se io la guardo e più l’avvicino, più i contorni svaniscono e non vedo più un bel niente. Il massimo del blow-up ottico-acustico coincide con il minimo dell’ingrandimento (visibilità-udibilità zero). Ecco l’amplificazione come risonanza. La fenomenologia del soggetto è finalmente solarizzata. È accecato l’ascolto.

https://youtu.be/iy0MFrYFmAg
Carmelo Bene in un seminario all’Università La Sapienza di Roma.

Il discorso sembra quindi allacciarsi agli studi filosofici di Friedrich Nietzsche, uno dei grandi maestri dell’artista. L’attore diventa discorso avulso dall’essere che lo pronuncia, pura macchina estatica, senza più testi di riferimento. Il filosofo tedesco è chiaro nell’affermare che nel linguaggio ciò che meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione.

Questo, seppur in sintesi, è stato lo studio di Carmelo Bene, il drammaturgo pugliese che ha scioccato l’establishment teatrale italiano. All’estero è stato idolatrato come nuovo Buster Keaton, una figura al di là del personaggio, della storia. In Italia, lo scandaloso Bene non lascia molti proseliti e sicuramente nessuna scuola. A volte dimenticato, c’è bisogno di rimetterlo in primo piano. La cultura italiana è stata protagonista di un miracolo. Questo miracolo si chiamava Carmelo Bene.

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