Il maresciallo Casamassima accusa di nuovo in aula i suoi colleghi

Martedì 14 Maggio c’è stata una nuova udienza del processo bis per la morte di Stefano Cucchi, il ragazzo romano trovato il 22 ottobre del 2009 in una stanza del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove era ricoverato da quattro giorni dopo essere stato arrestato. Il processo bis riguarda cinque carabinieri, compresi i tre che arrestarono Cucchi e che sono accusati di omicidio preterintenzionale.

Nel corso dell’udienza di Martedì ha parlato il maresciallo Riccardo Casamassima ripetendo le dichiarazione fatte al pm durante indagini che hanno portato alla riapertura del caso. Il maresciallo ha accusato in aula i suoi 5 colleghi:

«Nell’ottobre 2009, il maresciallo Roberto Mandolini (accusato di falso e calunnia e a quel tempo a capo della stazione dove venne eseguito l’arresto di Cucchi, ndr) si è presentato in caserma: mi confidò che c’era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, quando si riferì ai “ragazzi”, l’idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all’arresto. 

Il nome di Stefano Cucchi come del massacrato di botte fu percepito dalla mia compagna, Maria Rosati (anche lei nei carabinieri, ndr) che era dentro quell’ufficio e aggiunse che stavano cercando di scaricare la responsabilità sulla polizia penitenziaria».

E quando il pubblico ministero di Roma in aula Giovanni Musarò, ha chiesto a Casamassima perché abbia «aspettato 4 anni e mezzo per parlare», lui ha risposto:

«Perché all’inizio la vicenda Cucchi non mi aveva visto coinvolto in prima persona, ma troppe cose fatte dai miei superiori non mi erano piaciute, come l’abitudine di falsificare i verbali, e, provando vergogna per ciò che sentivo e vedevo, ho deciso di rendere testimonianza, temendo ritorsioni che poi si sono verificate. Quando è uscito il mio nome sui giornali, i superiori hanno cominciato ad avviare contro di me procedimenti disciplinari, tutti pretestuosi. Con Mandolini mi sono incrociato una mattina nell’ottobre del 2016: gli dissi solo di andare a parlare col pm e a dire quello che sapeva. Gli dissi che la procura stava andando avanti e che aveva in mano una serie di elementi importanti. Lui mi rispose dicendomi che il pm ce l’aveva a morte con lui».

In aula era presente la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che dal 2009 cerca di dare giustizia a suo fratello combattendo in suo nome una battaglia con lo Stato. Così ha dichiarato:

“Per anni io e la mia famiglia abbiamo rincorso la verità, abbiamo atteso troppo. Ritengo che il principale responsabile di questa attesa sia il maresciallo Mandolini”.

Claudia Colabono