Caso Dieselgate: continua l’iter d’infrazione mosso dall’UE contro l’Italia

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Di Redazione Metropolitan

Il caso Dieselgate continua. Sguardo severo dell’UE contro l’Italia, con occhi direttamente puntati su quello stesso scandalo emissioni che dal 2017 prosegue ancora oggi. Avviata così la seconda fase dell’iter sulla procedura di infrazione. Contestata dalla Commissione europea, soprattutto, l’assenza di penalità in caso di violazione delle norme che vietano dispositivi per manipolare le emissioni auto. Se infatti il Belpaese sembra avere in parte provveduto, con il ritiro dei veicoli dotati di software e altri sistemi di manipolazione, ha comunque evitato di applicare le giuste sanzioni previste. Una grave mancanza a cui dovrà rispondere, soprattutto per il sistema adottato dalla Fiat 500X.

Continua ancora dal 2017 il caso Dieselgate: grosso rischio per l’Italia per non aver fatto il possibile

Pesanti accuse quelle mosse da Bruxelles ai danni dell’Italia, con un procedimento che risale al 2017 e che non pare vedere una sua conclusione. Una procedura, quella del caso Dieselgate, che ha avuto inizio per via di una richiesta tedesca risalente a settembre 2016. Chiamata in causa in particolare la Commissione, secondo quanto riportato su La Repubblica, in modo da constatare che il Paese avesse fatto il possibile per ovviare al comportamento illecito.

Compito delle Autorità, come spiegato dalle stesse leggi europee, è appunto quello di “verificare che un tipo di automobile soddisfi tutte le norme dell’UE prima che le singole auto possano essere vendute sul mercato unico”. “Qualora un costruttore di automobili violi gli obblighi normativi – secondo le stesse legislazioni – le autorità nazionali devono adottare misure correttive e applicare sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive stabilite nella legislazione nazionale“.

Condizioni che hanno poi spinto l’Esecutivo UE a decidere di procedere con la seconda fase, come annunciato il 2 dicembre 2021, richiedendo però prima un parere motivato. Una risposta che, qualora non dovesse arrivare entro due mesi, porterebbe l’Italia al grosso rischio di essere denunciata alla Corte di Giustizia comunitaria.

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Liliana Longoni