C’era due volte il barone Lamberto è una novella per ragazzi scritta da Gianni Rodari. In quest’opera, lo scrittore affronta il tema della morte; trattando una tematica così importante, Rodari fa in modo che, il piccolo lettore, instauri un rapporto maturo con l’idea del trapasso.
Nel nuovo appuntamento della rubrica Letteratura per l’Infanzia un viaggio nella forma del romanzo breve: una storia in cui il famoso pedagogista, maestro elementare e scrittore insegna ai bambini a non aver timore della morte e del cambiamento.
C’era due volte il barone Lamberto: non temere la morte e la parola ”Fine”
Una narrazione fantastica, con giochi di parole, umorismo e tutte le caratteristiche tipiche dello stile di Rodari. C’era due volte il barone Lamberto, seppur appaia come un racconto comico per certi versi, è ricco di riflessioni; ogni riga di questa celebre novella per ragazzi nasconde profondi insegnamenti. La storia si svolge presso l’isola di San Giulio e il Lago d’Orta, provincia natale dell’autore. Il barone Lamberto è un anziano e ricco signore: possiede 24 banche nel mondo, soffre di 24 malattie e vive in una villa immensa situata sull’isola di San Giulio, con il suo fidato maggiordomo Anselmo. Nella grande villa, però, vivono altre sei persone il cui compito, tutto il giorno, è ripetere continuamente il nome del barone Lamberto. Delfina, Armando, il signor Giacomini, la signora Zanzi, il signor Bergamini e la signora Merlo, per svolgere tale compito, ricevono un salario altissimo: la continua ripetizione del nome è l’unico meccanismo per tenere in vita il barone Lamberto. Un atto magico messo in pratica dopo aver sentito una profezia da un mago in Egitto; il barone e Anselmo,si erano recati per cercare una soluzione capace di sconfiggere la morte:
”Colui il cui nome è sempre pronunciato resta in vita”
Il barone Lamberto ringiovanisce inspiegabilmente: la morte che sembra avanzare velocemente prima del viaggio in Egitto lascia spazio a una seconda giovinezza.
Il desiderio di una perenne gioventù e il capovolgersi della trama
La trama di C’era due volte il Barone Lamberto si intensifica quando, come in ogni storia, appare l’antagonista. Non tutti sono felici per la rinnovata giovinezza del barone Lamberto; 24 banditi, tutti di nome Lamberto, sequestrano il barone e chiedono un dispendioso riscatto. Allo stesso tempo c’è Ottavio, nipote di Lamberto e suo unico familiare vivente, che tenta in tutti i modi di studiare un piano per ucciderlo, far ricadere la colpa sui banditi e ottenere l’immensa eredità dello zio. Ottavio riesce a mettere del sonnifero nella cena degli addetti alla ripetizione del nome del barone; quest’ultimi si addormentano e sono sufficienti poche ore affinché, il barone Lamberto, invecchi di colpo e muoia. Il giorno seguente, Anselmo si accorge del decesso e licenzia le sei persone; tuttavia, al funerale, il barone resuscita: tutti i presenti pronunciano il suo nome durante la cerimonia, poiché argomento predominante della giornata. La situazione si capovolge di colpo: i sei addetti iniziano nuovamente a scandire il nome “Lamberto” e, il barone, diventa così un bambino di tredici anni. Gianni Rodari, come consuetudine, lascia il finale aperto: sarà il lettore a decidere le sorti della trama.
C’era due volte il barone Lamberto: seguire le proprie aspirazioni e non temere i cambiamenti
I messaggi educativi veicolati da C’era una volta il barone Lamberto sono da ricercarsi, specialmente, nei personaggi della storia. Il personaggio di Delfina è estremamente significativo e contrapposto totalmente alla figura del protagonista: se in C’era due volte il barone Lamberto il personaggio principale trascorre tutta la vita a fare ciò che gli altri gli imponevano, a non seguire le proprie attitudini, i sogni e le aspirazioni, la ragazza lo incita a fare esattamente il contrario: Delfina parla ora al barone tredicenne spronandolo a seguire il proprio essere e a chiedersi sempre il perché delle cose. Gli altri personaggi della trama, apparentemente minori e al primo sguardo grotteschi, sono descritti da Rodari in modo continuativo: i direttori delle banche, i bambini, il barcaiolo Duilio sono parte integrante di una trama spassosa. Tutta la folla che popola le pagine di C’era due volte il barone Lamberto, interpreta sé stessa: l’autore descrive i personaggi accentuandone le peculiarità, quasi sconfinando nel ridicolo.
L’insegnamento educativo impartito da Rodari
Lo stile di Gianni Rodari è contraddistinto da una dote fondamentale dal punto di vista educativo. Nelle descrizioni minuziose in cui tratteggia situazioni e persone, non c’è apparentemente alcun giudizio. Gianni Rodari non sentenzia: è una presenza esterna che si limita a presentare i suoi personaggi senza emettere giudizi, nemmeno se si tratta di un omicida come Ottavio. La peculiarità narrativa è che il giudizio è presente senza essere emesso. I soggetti descritti restano fedeli alla propria ”maschera”, seppur questa risulti ridicola: proprio per i tratti grotteschi e la bizzarria delle azioni narrate, non c’è il bisogno di un’esplicita condanna morale da parte del lettore o dell’autore. La leggerezza delle produzioni di Rodari sta proprio in questo: il mancato giudizio moralistico che dona alle sue opere un tono scanzonato.
In C’era due volte il barone Lamberto l’idea del trapasso è una presenza schiva e discreta ma, tuttavia, costante. L’autore vivifica la presenza della morte anche nei personaggi: è il caso del barcaiolo Duilio chiamato Caronte, chiara allegoria al traghettatore di anime Dantesco. La fine e la morte sono presenti anche nelle minacce dei nipote Ottavio, dei Ventiquattro Elle, nell’ideologia narrativa che sta alla base della novella e nei tentativi da parte del barone di sfuggirle a ogni costo. Il culmine massimo di tutta l’idea centrale, poi, si riverbera nella centralità della vicenda in cui il barone muore, inevitabilmente.
Favorire un rapporto maturo fra il bambino e l’idea del trapasso
Gianni Rodari tratta un momento drammatico come la morte in maniera del tutto singolare: non ci sono melodrammi poiché descrive l’attimo decisivo con sobrietà e naturalezza:
“Egli respira a fatica, sente che la gola gli si stringe, acuti dolori gli scoppiano nel petto. Allunga la mano per tirare il cordone del campanello e non ci riesce. Vorrebbe chiamare Anselmo, ma la bocca è come murata. […] «Dormono, – pensa il barone, – e io muoio». Ma non fa in tempo a spaventarsi, perché è già morto.”
Nel brano non persiste alcune traccia di drammaticità: non c’è timore, solo meraviglia e sorpresa. Un modo inusuale di rendere una tematica così complicata, seppur importante, in quanto, favorisce nel bambino un rapporto razionalizzato e maturo con l’idea della morte. L’intento di Rodari è spiegare la società ai bambini: per far capire al piccolo lettore i contesti e le sfumature della vita, l’unico modo è unire il razionale con il fantastico, quindi, servirsi dell’unico strumento che essi possano capire: le fiabe. In C’era due volte il barone Lamberto, Rodari diventa il rivoluzionario della fiaba sradicando la consuetudine delle regole; non più in noto incipit ”C’era una volta…” ma, addirittura, c’è due volte. Una narrazione che inizia con un uomo di 94 anni che ottiene una seconda possibilità. Questa novella è l’ultimo regalo che Rodari farà ai suoi lettori: Lamberto è lo stesso scrittore ormai malato, che ha usato la fiaba per narrare la realtà. Quello che lascia nella stesure della storia è un finale aperto, in linea con tutta la morale del racconto: non avere paura.
”Non tutti saranno soddisfatti della conclusione della storia. A questo però c’è rimedio. Ogni lettore scontento del finale, può cambiarlo a suo piacimento, aggiungendo al libro un capitolo o due. O anche tredici. Mai lasciarsi spaventare dalla parola FINE”.
a cura di Stella Grillo
Foto in copertina: C’era due volte il barone Lamberto – Photo Credits: ilcaffeonline.it